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In risposta alla Bundesverfassungsgericht

L’odierna riunione del Governing Council della Bce ha colto di sorpresa anche i più ottimisti sostenitori del ruolo della Banca Centrale dell’eurozona, decidendo un ulteriore ampliamento del PEPP (il Pandemic Emergency Purchase Programme, varato il 19 marzo scorso come sostegno alla liquidità in questa fase, transitoria, dell’emergenza pandemica) di altri 600 miliardi, da portare avanti “fino almeno al giugno 2021”.

Alla faccia delle richieste della Bundesverfassungsgericht (la Corte Costituzionale federale tedesca), che un mese fa aveva invitato la Bce a sospendere quell’intervento asimmetrico, stante le sue inevitabili ripercussioni di carattere economico-sociale, quindi distributivo. Un compito che, secondo la Corte tedesca, non spetta alla Bce ed alla UE, che non ha competenze in materia di politica economica e sociale nel suo complesso.

La Bce non solo ha di fatto ignorato la sentenza. Ma ha reiterato uno strumento che fa effettivamente la differenza nella gestione della crisi: gl’interventi asimmetrici (indipendenti dall’obbligo di seguire la capital key – che prevede di acquistare titoli del debito pubblico in proporzione alle quote del capitale nella Bce).

La domanda cruciale da porsi è sulla base di quale legittimità politica la Bce abbia compiuto un passo così smaccatamente contrario alla sentenza della corte costituzionale di un paese membro chiave per la tenuta del sistema europeo. E la risposta non può che essere una: proprio dal cancellierato tedesco.

Angela Merkel ha già mostrato di aver intrapreso un percorso di revisione profonda del suo orientamento sulle responsabilità della Germania, da esercitare insieme alla Francia, nel processo d’integrazione del Vecchio Continente. Sponsorizzando una proposta di Recovery Plan che è stata superata poi da quella del Next Generation UE della Commissione (lo ricordiamo: 500 milioni i grants, trasferimenti; e 250 in loans, prestiti a tasso quasi-zero).

Una proposta che, certo, dovrà passare le forche caudine del diritto di veto in Consiglio. Ma che può trovare, se sarà presente una forte volontà politica in tal senso, numerosi percorsi per soddisfare gli appetiti delle varie corporazioni nazionali, in modo da superare il veto di qualche paese e permettere a ciascun governo di uscire dal Consiglio sostenendo di aver vinto una delle proprie battaglie.

La decisione di oggi della Bce dimostra anche qualcosa di più rilevante dal punto di vista politico.

Primo: l’Unione Europea già oggi si sta comportando come una federazione europea, con interventi di natura e dimensione paragonabili (anzi, maggiori) a quelli degli Stati Uniti. Il varo di un programma di acquisti da un trilione e mezzo di liquidità da parte della Banca Centrale ed un programma di espansione fiscale congiunto che si preannuncia di oltre un due trilioni (considerando i vari strumenti messi a disposizione in sede europea: il consueto bilancio pluriennale, il Revovery Plan, BEI, SURE, MES) lo dimostrano. Il problema che rimane ancora oggi aperto in Europa è quello della legittimità democratica. Perché questi interventi hanno evidentemente due sponsor espliciti: Francia e Germania, e soprattutto i rispettivi governi. Questo, alla lunga, è inaccettabile e insostenibile. Occorre che venga messo mano ad una fondazione costituente che riscriva il sistema decisionale ed istituzionale in Europa, per avvicinarlo a quello di una democrazia sovranazionale multilivello.

Secondo punto, che a che fare con le modalità di gestione collettiva delle scelte che impattano su un intero gruppo di paesi. Quando un organo collettivo decide a maggioranza, non all’unanimità, nessuno ha in mano il cerino del ricatto che può bloccare il meccanismo decisionale. La Bce, che decide a maggioranza (anche se oggi tutti erano a favore della proposta della Lagarde), è li a dimostrarlo. Può anche darsi che il prossimo Consiglio riesca a trovare un compromesso valido per varare il piano di rinascita europea. Ma domani, quando l’emergenza sarà terminata, è fondamentale che i meccanismi decisionali all’unanimità siano cancellati da qualsiasi organismo collettivo europeo. Altrimenti ci ritroveremo nuovamente nell’impasse degli egoismi nazionali, a discapito della sorte di tutti i 440 milioni di cittadini europei.

Ma oggi vogliamo essere ottimisti, e confidare che l’emergenza pandemica cambi una volta per sempre la struttura confederale, ambigua ed intergovernativa dell’Unione Europea.


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