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La politica esca dalla quarantena. L’appello di Carnovale (Fondazione Craxi)

“Fine di una storia. Il ritorno della politica?”. In tempi in cui il Covid-19 ha fatto da detonatore della crisi della governance mondiale, il nuovo numero del trimestrale della Fondazione Craxi, “leSfide – Non c’è futuro senza memoria” (www.lesfide.org), diretta da Mario Barbi, ha scelto un titolo che, in perfetta sintonia con il suo nome, rappresenta davvero la sfida delle sfide. Ovvero, dopo lunghi anni di dominio di mercati e finanza, riuscirà a ridiscendere in campo quell’attore decisivo che è la politica per dare risposte nell’era della de-globalizzazione? Con colloqui e saggi (di Piero Craveri, Giancristiano Desiderio, Daniele Capezzone, Pierluigi Mennitti, Lorenzo Castellani, Eugenio Capozzi, Gennaro Malgeri, Corrado Ocone, Ugo Intini, Angelo Polimeno Bottai, Filippo Ravoni, Andrea Muratori, Ivan Giovi, Andrea Pilati, Alessandro Aresu, Michele Marchi) il nuovo numero della rivista, che verrà presenta in un Webinar il prossimo 10 giugno alle ore 18.00, “sfida” quello che è il tema dei temi.

Nicola Carnovale, Direttore generale della Fondazione Craxi (fondata da Stefania Craxi e presieduta da Margherita Boniver), giovane trentenne appassionato di politiche europee e internazionali, chiude a suggello di queste tante riflessioni vergando una nota dove spiega il valore ancora attuale del pensiero di Bettino Craxi che, nel 1978, con il suo “Vangelo socialista”, fondato su uno studio del recentemente scomparso Luciano Pellicani, ruppe con la cultura leninista che albergava nel PCI. Il saggio è riproposto in esclusiva nel numero, anche con particolari autografi dello stesso statista socialista, nella sezione “Memoria e Archivi”. L’Europa è il tema al centro di tante pagine. Tema riassunto nella felice sintesi di Capezzone di “un immenso ceto medio” in cerca di rappresentanza e spesso liquidato come un volgare “sovranista” o “nazionalista”.

Carnovale, prima di entrare nel merito di questo numero della rivista, perché riproponete il “Saggio su Proudhon” di Craxi che diventa una sorta di ponte tra il passato e il futuro di tutte le ricche riflessioni di “leSfide”?

In ogni numero del periodico valorizziamo i nostri documenti d’archivio, pubblicando un qualcosa che afferisca al tema monografico scelto. E, nel momento in cui riflettevamo sulle “culture politiche” del nostro tempo e sui destini passati e presenti di quelle del Novecento, non potevamo non ricordare un momento alto e significativo di elaborazione politica, filosofica e culturale. Il “Vangelo socialista” è un cambio di paradigma nella sinistra italiana ed europea, a larghi tratti ancora di grande attualità.

È il saggio che segna l’avvio di una nuova fase di protagonismo del Psi dopo un lungo periodo di subalternità politica e culturale…

Esatto. Il ribattezzato “Saggio su Proudhon” getta le basi per il “nuovo corso” socialista e diviene, come ricorda anche Marcello Sorgi nella sua ultima pubblicazione, un riferimento internazionale a cui attingerà finanche lo stesso “Labour” di Tony Blair. Non è solo la rottura con il Marxismo – Leninismo, la riscoperta della filosofia del riformismo e delle dottrine libertarie con cui Craxi ridisegna il pantheon socialista riconnettendolo alle migliori culture e tradizioni ottocentesche. È il seme di una nuova cultura, l’origine del liberalsocialismo, di un socialismo umanitario, in grado di far coesistere, tra l’altro, visione internazionale e interessi nazionali. Credo che già di per sé questo elemento, specie per una realtà come l’Italia, si configuri come di grande interesse.

Alla fine de “Il Colloquio” che la redazione ha tenuto con lo storico Piero Craveri, in un quadro un po’ cupo, il nipote di Benedetto Croce lancia un messaggio ottimista, dicendo che iniziative come le vostre possono essere un pezzo di una catena che si può e si deve rimettere in moto…

Craveri invita a mettere in moto le fucine del pensiero e dell’elaborazione come premessa necessaria per un “restart”, evocando un ruolo determinante del mondo della scuola e dell’Università. In questo, mi permetto di dire che è un po’ mazziniano, nel senso che richiama il pensiero come dimensione inscindibile dall’azione. Elemento che condivido, specie se guardiamo al presente.

Quale è il senso della vostra “sfida” con questo numero?

Nella sezione monografica abbiamo voluto indagare su quel fenomeno che è stata ed è la globalizzazione, l’humus in cui nasce e si sviluppa, le culture da cui origina, che l’hanno alimentata e orientata e, non in ultimo, sulle storture che ha prodotto. Ma, più in generale, posso dire che la nostra ambizione è quella di una divulgazione scientifica di qualità seppur non asettica. Editiamo una rivista di approfondimento e di riflessione storica, filosofica e culturale che affronta, con un approccio di studio e di analisi, anche le questioni economico-sociali e le “nuove” dinamiche internazionali. Pensiamo che coltivare la memoria è un buon esercizio di futuro. E il nostro, purtroppo, è un Paese troppo spesso immemore, che rischia di perdere finanche la stessa concezione di sé.

Perché nel sottotitolo ponete l’interrogativo “Il ritorno della politica?”?

La globalizzazione lascia in eredità al presente alcune storture di non poco conto. A farne le spese sono state la politica e le Istituzioni democratiche e rappresentative con una subalternità e una irrilevanza strutturale ai mercati e alla finanza. Un processo globale che, peraltro, ha prodotto anche inedite forme di disuguaglianza, penso a quella tra Stati nazionali, e ha messo in discussione la stessa democrazia liberale e con essa il modello occidentale. Oggi, globalmente, siamo in presenza di forme di reazione, spesso confuse e contraddittorie, ma dalle quali emerge una forte richiesta di “politica”. Ma non è detto che queste istanze possano dare risposte ai problemi e, soprattutto, non è detto che assumano forme democratiche…

È la fine di un mondo?

È la “Fine di una storia”, come titola il volume. Non siamo alla fine del mondo globalizzato, specie se per questo intendiamo l’internazionalizzazione dei commerci, ma di certo è la fine di una “ideologia”. E aggiungo, è la fine di un certo paradigma liberal-progressista transnazionale, cosmopolita e benpensante che ha accompagnato la globalizzazione nel nuovo secolo. Diciamo che si è aperta una nuova fase e la storia, com’era naturale che fosse, ha ripreso a correre più che mai.

Ci sono tantissime analisi e spunti nella rivista che è praticamente un libro da conservare. L’Europa è al centro di molte riflessioni. Che monito ne esce per la Ue, sulla scia del messaggio di Craxi, europeista certamente ma altrettanto certamente non eurodogmatico e tantomeno eurosettario?

È vero. La questione europea aleggia in ogni sezione del volume. È una sorta di convitato di pietra, com’è inevitabile che sia per la sua importanza e per il suo impatto sui nostri destini. Se volessimo fare una sintesi impropria, potremmo dire che dalle tante analisi, che spaziano dalle difficoltà politiche interne di Francia e Germania fino al ruolo della BCE, passando per la costruzione europea ri-letta dalle carte di Giuseppe Guarino, viene fuori la necessità di non abbandonarsi alle pulsioni settarie di ogni tendenza e adottare un “europeismo della ragione”, assai utile per un Paese che ha – diciamo così! – qualche problema di postura e che alterna subalternità a velleità nell’approccio comunitario.

Viene fuori un qualche monito per la politica di casa nostra?

Gli spunti per chi ha animo e voglia di interrogarsi e agitarsi nel dubbio, perché le certezze oggigiorno sono davvero poche, credetemi, sono davvero tanti. Diciamo che personalmente consiglierei ai nostri governanti, anche a quelli di ieri, di leggere con attenzione il “Colloquio” con Piero Craveri. È uno straordinario vademecum storico degli errori compiuti dal nostro Paese, la rappresentazione di una élite e di una certa “classe dirigente” che per dolo, subalternità o insipienza ha svenduto e consegnato l’Italia, rendendo oggi ogni reazione difficile. Ritroviamo le ragioni storiche della nostra debolezza, dalle svendite di Stato al sistema industriale, passando per una disamina del nostro modo di “stare” in Europa, nonché il percorso e le valutazioni che ci hanno condotto nella moneta unica. E poi, suggerirei di leggere l’editoriale del Direttore, Mario Barbi. Troverebbero una bussola per il loro agire.

In tutto questo lavoro, l’altro grande protagonista è la Cina, sul quale si soffermano varie pagine di “leSfide”. Quali sono le sue personali considerazioni a proposito?

Con i saggi di Antonio Pilati e Alessandro Aresu abbiamo analizzato le prospettive della crescente e duratura rivalità tra “le potenze del capitalismo politico”, Usa e Cina. È uno scontro epocale che segnerà la nostra epoca e ci coinvolgere direttamente. L’Italia e la stessa Europa non possono pensare di rimanere indifferenti o atteggiarsi a spettatori terzi. Non possiamo esserlo e non dobbiamo esserlo. Sono in discussione i nostri valori fondanti, la libertà e la democrazia, lo stesso modo d’intendere l’iniziativa economica e il mercato. Si può rimproverare molto agli Stati Uniti per quanto fatto in questi anni, penso agli errori esiziali nel Mediterraneo, ma non possiamo avere alcun dubbio sul nostro destino e tantomeno pensare che con la Cina si possano fare solo accordi commerciali. A pensarlo, ancor prima che dirlo, si è stolti o in mala fede. Fermo restando che il cumulo di cariche in questo caso non è vietato, giudichi lei quel che è peggio!

A causa del Covid, molte iniziative che dovevano durare tutto l’anno, dopo il partecipatissimo ricordo a Hammamet, per il ventennale di Craxi sono state cancellate. Come si chiuderà il ventennale?

Era previsto un intenso programma di iniziative a carattere storico e rievocativo per tutto il 2020 che, ricordo, segna il ventesimo della scomparsa di Bettino Craxi ma anche i venti anni di attività della nostra Fondazione, che si è qualificata in questi anni come un istituto storico-culturale che radica e valorizza le sue attività nelle fonti d’archivio, un bene assai prezioso. Da marzo, come tutti, siamo stati costretti a sospendere gli eventi pubblici in giro per l’Italia ma sono proseguite tutte le altre attività possibili, in primis, quelle editoriali e seguitano con la ripresa quelle archivistiche e bibliotecarie. Speriamo che la situazione ci consenta di riprendere in sicurezza la parte convegnistica e seminariale che abbiamo riprogrammato, con alcuni eventi che prenderanno vita sul web. Contiamo comunque di recuperare quanto annullato.

Non si perderà nessun appuntamento….

Il nostro appuntamento è con la storia. E quello non può saltare.


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