Skip to main content

Italia, Europa, Vaticano: aiutateci. L’appello per Hong Kong di Isaac Cheng

Era solo uno studente liceale, quando ha deciso di unirsi al movimento. Isaac Cheng oggi ha 19 anni, ed è il vicesegretario di Demosisto, il partito che da anni guida le proteste contro il governo centrale cinese a Hong Kong.

Il titolo è poco più di una formalità. Perché, non smettono di ripeterlo, il movimento democratico a Hong Kong non ha “leader”. Ribadirlo è anche un modo per sottrarre al governo cinese un pretesto pericoloso. Quello del name and shame: fare i nomi e i cognomi dei “capi”, bollarli come responsabili. Arrestarli.

A Isaac è successo due volte, racconta a Formiche.net. La prima era ancora un adolescente. L’ultima, tre giorni fa. “Stavo distribuendo mascherine contro il coronavirus alla gente di Hong Kong. Mi hanno preso e portato in prigione. Perché le mascherine non erano “made in China”, e violavano la legge sul commercio”. Ora ne arriveranno altri, di arresti.

L’assemblea del popolo cinese ha ufficialmente approvato la legge sulla Sicurezza Nazionale che smantella da cima a fondo gli accordi del 1997 e il disegno “Un Paese, due sistemi”. Adesso tutto può succedere, e gli attivisti lo sanno. Dalle parti di Demosisto, il partito guidato da Joshua Wong, gli arresti si contano come medaglie al petto. Ma non c’è macismo nelle parole di questi giovani studenti. Non c’è in quelle di Cheng. “Paura? Certo che ho paura, chi non la avrebbe. Tutti abbiamo paura adesso, qui a Hong Kong. Ma a volte ne vale la pena. Per un sogno, un ideale, si combatte, senza curarsi delle conseguenze”.

Ormai nel “Porto profumato” è partito il conto alla rovescia. Questione di settimane, e il Partito comunista cinese (Pcc) di Xi Jinping stringerà la morsa, con il governatore Carrie Lam pronta a spalancargli le braccia. Agenzie di intelligence, polizia, retate. Quel che si è visto negli ultimi anni non è che l’antipasto. “La nostra speranza è che i cittadini di Hong Kong vogliano prendere azioni. Da quando entrerà in vigore, la nuova legge sulla Sicurezza nazionale annullerà il quadro “un Paese, due sistemi”. Manca poco”, sospira Cheng dal suo quartier generale.

La telefonata su Telegram si interrompe a più riprese. È uno dei pochi social su cui ancora si azzardano a comunicare con l’estero. Ma di sicuro non c’è niente. Hanno già provato a violare l’account di Cheng. A fine agosto dello scorso anno ha trovato il suo numero, il suo indirizzo, le sue informazioni personali su un sito web. Il 31 agosto, il telefono ha ricevuto migliaia di chiamate anonime, una dietro l’altra. Routine, per i manifestanti di Demosisto e i loro colleghi.

Ora c’è un solo, esile appiglio, ci dice Cheng: i riflettori della comunità internazionale devono rimanere accesi. Il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha ufficialmente riconosciuto la fine dell’indipendenza di Hong Kong. Che sia altruismo o semplice realpolitik poco importa, ammette il giovane attivista, il supporto americano è benvenuto. “È la scelta giusta. E anche la scelta che difende gli interessi americani e i molti investimenti a Hong Kong. Pompeo prende atto della fine della democrazia. Siamo in contatto con gruppi di senatori e deputati del Congresso americano, la nostra azione di lobbying continua”.

Gli Stati Uniti, da soli, non bastano. I manifestanti a Hong Kong cercano, sperano in un movimento globale, che rallenti, e magari arresti l’avanzata cinese sul porto. L’appello è rivolto ai vicini, come al governo di Taiwan di Tsai Ing-wen, che ha espresso supporto alle proteste. “Ringraziamo Taiwan. Sta facendo molto per noi. Molti perseguitati politici si stanno rifugiando sull’isola per sfuggire agli arresti, il governo taiwanese li sta aiutando. Chiediamo che facciano lo stesso con la gente di Hong Kong”.

Ma il grido d’aiuto arriva anche a Paesi più lontani. Come l’Italia, che, dice Cheng, con la Cina “ha una relazione molto stretta, un rapporto economico molto consolidato”. Tutti a Hong Kong lo sanno. Non tutti lo capiscono. “L’Italia ha pagato uno dei prezzi più alti per la tragedia del coronavirus. Un virus che viene dalla Cina. Il governo e il popolo italiano dovrebbero capire che non si può essere amici con questo Paese. Perché prima o poi si finisce sotto ricatto, o minacciati. Chiediamo all’Italia, all’Europa di schierarsi a difesa della democrazia a Hong Kong”.

Lì, in Italia, c’è uno Stato nello Stato che può fare la differenza. È lungo neanche un chilometro, il Vaticano, ma ha un raggio d’azione senza confini. “In queste ore centinaia di ong e movimenti religiosi da tutto il mondo stanno supportando la nostra battaglia – ci dice Cheng – qui non possiamo parlare liberamente, questo è l’unico modo per farci sentire. Speriamo che anche la Chiesa ci aiuti a farlo”.



×

Iscriviti alla newsletter