Concludendo la recita del Regina coeli, nella domenica dell’Ascensione, papa Francesco ha ricordato il quinto anniversario della Laudato si’ e ha lanciato un “anno speciale per riflettere sull’enciclica”. È il suo modo di non desistere dal sensibilizzare i governanti delle nazioni, non meno che gli uomini e le donne della porta accanto, a prendere in seria considerazione la questione ecologica e il disastro ambientale che in questi ultimi decenni sta mettendo a dura prova l’intero pianeta sotto tanti punti di vista.
Nella sua enciclica sociale, Francesco ha messo in luce il concetto e, soprattutto, l’esperienza della “conversione ecologica”, evidenziandone le implicazioni politiche, economiche e culturali e, più a monte, le motivazioni spirituali che interpellano i credenti in quanto cittadini del mondo e abitatori della Terra, “nostra casa comune” (LS 3), condivisa con tutti gli altri esseri umani e con tutti gli altri esseri viventi.
Per chi crede davvero, è impossibile non ammettere d’essere “nella stessa barca” – espressione che il papa ha usato nei giorni più duri della pandemia in corso – su cui l’umanità affronta i marosi dell’attuale “cambiamento d’epoca”. Come spiegava già sul finire del secondo secolo d.C. un anonimo autore cristiano al suo amico Diogneto, non si può essere cristiani senza accettare la vocazione a vivere nel mondo come l’anima nel proprio corpo e, in definitiva, con la consapevolezza d’essere come l’anima del mondo stesso. E, come ha scritto Thomas Berry – religioso passionista statunitense, geologo, antropologo e teologo, studioso del pensiero del gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin, anche lui scienziato e teologo al contempo –, “noi umani siamo una qualità mistica della terra”, rappresentiamo cioè “il principio unificatore e integratore delle varie polarità del materiale e dello spirituale, del fisico e dello psichico, del naturale e dell’artificiale, dell’intuitivo e dello scientifico” e “siamo immersi in un oceano di energia”, che “ci appartiene, non attraverso l’appropriazione e la dominazione, ma tramite l’invocazione”.
Proprio l’invocazione è il sostegno complementare cui, anche per Francesco, conviene ricorrere nel farsi carico della crisi ecologica globale. Non per niente il papa ha suggerito pure una breve preghiera, che sintetizza quella “per la terra” e quella “con il creato” in cui culminava la sua enciclica. Nella nuova preghiera, egli chiede l’aiuto divino per diventar capace di una “solidarietà creativa”.
Il termine “solidarietà” suona sinonimo dell’“interconnessione” fra tutti e tutto di cui Francesco parla insistentemente. E si può considerare sinonimo anche di “fratellanza”, altra parola cara al papa. In realtà la Chiesa del post-concilio ne ha sempre tenuto in debito conto il senso, traducendolo spesso in preghiera. In un messale coedito, nel 1973, da Queriniana ed Elle Di Ci, tra le cosiddette preghiere dei fedeli per la domenica d’Ascensione ce n’è una che anticipa di quasi cinquant’anni l’invocazione formulata dal papa, a dimostrazione del fatto che Francesco non fa altro che mantenersi nel solco conciliare: “Per tutti i popoli della terra e per i capi di governo: l’aiuto alle nazioni in via di sviluppo, il rispetto delle risorse naturali e dell’ambiente, la circolazione delle scoperte scientifiche, l’uso dei mezzi di comunicazione sociale, preparino la coscienza di una fraternità universale e un nuovo tipo di umanità”. Come si vede, se Francesco oggi dà l’impressione d’essere un avanguardista, in verità tanti altri restano impastoiati in un madornale ritardo.
Ancor più interessante è, però, l’aggettivo “creativa”, che accompagna il termine “solidarietà”. Già nell’enciclica si legge di un rovinoso “paradigma tecnocratico” (LS 101 e 108), che ha rotto l’equilibrio tra creaturalità e creatività. La creaturalità, cioè l’esser-creatura, è senza dubbio uno dei due tratti costitutivi dell’umano: definisce l’uomo nel suo rapporto con il Creatore. Ma c’è un altro tratto umano, non meno importante, che consiste nella creatività: l’esser-capace-di-creare definisce l’uomo come soggetto e, perciò come protagonista, come artefice e autore del suo vivere nel mondo. Dal punto di vista in cui il papa si pone, l’essere autore, implica anche l’essere autorizzato; e l’essere artefice comporta anche l’essere artefatto o meglio, per enfatizzare il corretto significato della parola, l’esser-fatto-ad-arte, cioè l’essere plasmato con cura, attendibilmente configurato a un archetipo esemplare, ma anche l’essere interpellato da un Altro, quindi l’essere stimolato a rispondere, a divenire responsabile, ad assumersi delle responsabilità.
Tuttavia l’intreccio tra creaturalità e creatività, nella tarda modernità, si va allentando sempre più. E così i due tratti costitutivi dell’uomo, le sue attitudini cultuali per un verso e culturali per altro verso, il suo provenire da Dio e il suo stare nel mondo, si divaricano e anzi si contrappongono, quasi che l’essere creativo sia incompatibile col riconoscersi creatura, e le esigenze dell’autonomia siano irriducibili all’apertura verso il Trascendente.
La mentalità contemporanea si è talvolta irrigidita su questi temi, scegliendo la difesa dell’autonomia e concentrandosi esclusivamente sulla creatività. Ma, come il papa spiega, divaricando la creatività dalla creaturalità l’uomo rischia di mettersi “al posto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà creata da Lui senza conoscere limite”: “Il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore” (LS 75). In questa prospettiva, “l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile” (LS 116). Solo così l’uomo può comprendere la sua centralità nel creato non “come motivo di gloria personale o di dominio irresponsabile, ma come una grave responsabilità che deriva dalla sua fede” (LS 220).
Questa consapevolezza credente, secondo Francesco, può contribuire a smaltire quella mentalità calcolante – per usare un’espressione di Heidegger – in forza della quale si presume “che gli altri esseri viventi debbano essere considerati come meri oggetti” (LS 82) da sfruttare per il proprio tornaconto. C’è, invece, da riconoscere in tutte le creature la “priorità dell’essere rispetto all’essere utili” (LS 69).