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Il governo sopravvive (a Renzi). Ma non basta. Franchi spiega perché

La ricerca di una ratio politica, Covid a parte, è davvero complessa dice a Formiche.net l’editorialista del Corriere della Sera Paolo Franchi che commenta il voto di sfiducia al Guardasigilli perimetrandolo all’interno dell’attuale cornice di governo: nato per disinnescare la mina Salvini e i suoi pieni poteri, ma poi senza una visione che andasse al di là dei punti di partenza dei singoli partecipanti (Pd e M5s). In Spagna quando Sanchez si è alleato con Podemos, al netto delle differenze tra Podemos e il M5S, si è provato a fare un percorso diverso per entrambi e assieme ci sono riusciti. In Italia no e le due forse semplicemente sono rimaste se stesse.

Perché Matteo Renzi ha fatto marcia indietro sul Guardasigilli?

Sinceramente era difficile avere dubbi sull’esito del voto, non ho mai pensato che potesse o volesse fare passi avanti. Non so quanto ci sia di fondato nella parallela trattativa su quello che una volta si chiamava rimpastino di cui si legge sui giornali. Spiegazione certamente banale, ma resta il fatto che fatico a capire quale poi possa essere il punto di caduta delle operazioni dei renziani. Credo sia un problema un po’più complicato, che riguarda il modo di concepire la politica.

Graziano Delrio ha definito quella in Senato una partita per conto proprio. Chi l’ha giocata sapeva già il risultato? E che immagine si offre al paese stremato dal Covid?

Dovremmo aprire un dibattito sul caso Bonafede-Di Matteo, dove per i grillini varrebbe la tesi di chi la fa l’aspetti. Nel merito di questa vicenda, che sarebbe ridicola se non fosse davvero brutta, se fossi stato un parlamentare avrei seguito le idee enunciate da Emma Bonino al Senato. Se c’è una aspetto su cui credo dovremmo puntare ma che non è ancora chiaro è: quale politica sulla giustizia sta perseguendo il governo? Penso che se ci fosse stato un dibattito duro, ma alto, su questo aspetto sarebbe stata un’ottima cosa e l’opinione pubblica lo avrebbe apprezzato. Ma modi e tempi, sommati al carattere surreale di tante posizioni, non lo hanno permesso.

Chi vince e chi perde?

L’opposizione, nel bene o nel male, tutto sommato ha fatto il suo mestiere. Ma sollevare la questione come fatto da Renzi per arrivare a queste conclusioni è difficile da spiegare, da capire e soprattutto da spiegare.

Esattamente tre mesi fa, il 20 febbraio, sulle prime pagine dei giornali c’era la possibile crisi di governo sulla prescrizione. Oggi siamo tornati al punto di partenza?

Pur ritenendo che Renzi sulla prescrizione avesse le sue ragioni, penso sia importante sottolineare come ad una posizione certa si fanno seguire i relativi comportamenti: un giochino tanto scontato quanto improduttivo, un accumulo di scontri in attesa che maturino le condizioni per qualcosa di diverso per liquidare questo governo e andare ad un’altra soluzione.

Il voto?

Non credo sia plausibile né ambito dallo stesso Renzi. Ma valuto questi atteggiamenti come una marcia di avvicinamento alla crisi, con tutto quello che ne potrà conseguire. Per lo meno lo immagino, altrimenti non si spiegherebbe il tutto. Magari le cose sono semplicemente così: ricordo che il vecchio Fortebraccio, a proposito di vecchi burattinai o di oscuri motivi dietrologici, poneva sempre una domanda: ‘e se invece fossero bischeri’? Non voglio dare del bischero a nessuno, ci mancherebbe, ma anche questa è nell’ordine delle cose possibili dal momento che la ricerca di una ratio politica, Covid a parte, è davvero complesso.

Il Colle ha sempre escluso crisi al buio, ma la potenziale esplosione a settembre del nostro debito rischia che tutto frani sulla prossima finanziaria?

Giusto, ma in genere le forze politiche possono litigare perché nessuno vuol metterci la faccia sulla prossima finanziaria lacrime e sangue. Ma se invece di risorse ne arrivassero parecchie, come si legge, forse qualcuno potrebbe voler litigare su come spendere quei fondi. Al di là delle congiure però bisognerà constatare come farà l’attuale maggioranza a restare in piedi di suo: non dimentichiamo che questo esecutivo è nato sull’onda di uno stato di necessità democratico, impedire a Salvini di prendersi i pieni poteri. E se uno stato di necessità può spiegare la nascita di un governo, poi difficilmente basta a dare anche una prospettiva politica e un senso compiuto. Ricordo l’ultimo intervento di Beppe Grillo, quando disse ai suoi che tutti, ovvero Pd e M5s, dovevano uscire dalla propria figura tradizionale. Il primo è un partito vocazionalmente di sistema, seppure afflitto da afasia, mentre il secondo è nato come una forza antisistema.

Ci sono riusciti?

Se ciascuno resta se stesso con i propri problemi di tenuta e sopravvivenza, quel processo non riesce ad andare avanti. In Spagna quando Sanchez si è alleato con Podemos, al netto delle differenze tra Podemos e il M5S, si è provato a fare un percorso diverso per entrambi e assieme ci sono riusciti. In Italia no e le due forse semplicemente sono rimaste se stesse. Il Pd da una prospettiva di dissoluzione, da Zingaretti in poi, ha recuperato una sua tenuta, bloccando una slavina che rischiava di travolgerlo. Il M5S è una forza stremata. E nel mezzo il governo: una situazione assolutamente anomala. Certamente lo stato di necessità è rafforzato dalla pandemia, perché occorre un governo che governi e non si può andare alle urne in tale contesto, anche se ci darebbero una rappresentazione più realistica dei flussi elettorali che oggi sono diversi da quelli del 2018. Attenzione però, perché in nove anni siamo al quinto governo non sorretto da una maggioranza espressa dalla volontà degli elettori.

A 50 anni dallo statuto dei lavoratori, come commentare in chiave welfare il decreto rilancio? Conte e Gualtieri hanno portato a casa risultati concreti?

Hanno portato dei risultati, ma ho l’impressione che la logica di fondo del decreto sia solo risarcitoria. Una volta si parlava di politica delle mancette per alleviare l’alleviabile, che intendiamoci va fatto. Ma poi, in attesa di capire quanti soldi arriveranno, e se arriveranno, bisognerà decidere di visioni e grandi scelte: ovvero come fare fronte alla crisi, passata l’emergenza. Ma anche questa esigenza conclamata, al di là di qualche dibattito molto stanco sullo Stato imprenditore e il libero mercato, è stata disattesa. Il lavoro è cambiato, come anche la platea dei lavoratori che si è fatta più frastagliata. Quelli che erano il nervo, la classe operaia, hanno visti ridimensionati il proprio peso non solo numerico, mentre si sono moltiplicate le fattispecie contrattuali.

Per cui quali diritti ai tempi del Covid?

Se si parla di diritto al lavoro, bisogna farlo attraverso alcuni pensieri di tipo universale che riguardino tutti i lavori. Invece in questi ultimi 30 anni il lavoro dipendente ha solo preso botte, anche sul piano del proprio valore, tornando merce. La crisi ha esacerbato questa problematica e penso che ad esempio figure come i runners, spesso bistrattati, oggi ci hanno consentito di andare avanti durante la pandemia. Maurizio Landini ne parla spesso e fa dei discorsi alla Di Vittorio. Come mai di tutto ciò non c’è riflesso nella discussione politica? Sull’anniversario dello statuto ho letto davvero pochi interventi, ma vorrei ricordare che fu voluto da un socialista autonomista come Giacomo Brodolini e portato a conclusione da Carlo Donat Cattin, il ministro più “pro labor” della storia italiana con i comunisti che si astennero. La politica si scontrò 50 anni fa su quello statuto mentre oggi il nulla.

twitter@FDepalo


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