Per evitare il rischio troika, un memorandum lacrime e sangue e quindi uno tsunami di collera, servirà non un gabinetto di guerra, ma un governo politico, fortissimo e con prospettive costituenti.
Lo pensa il prof. Carlo Galli, Storico delle dottrine politiche all’Università di Bologna, già deputato dem nella scorsa legislatura, che affida a Formiche.net un ragionamento non solo sulla Fase 2, ma sulla successiva, quella Fase 3 che investirà tanto la politica italiana quanto le sue finanze.
Lo sforzo del Pd di guidare Conte può rimettere in moto, parallelamente, anche il motore Italia?
Il Pd in questo momento ha chiaramente in mano la guida del governo, dispone di un know how infinitamente superiore a quello del M5S, con una coesione interna data dall’uscita di Renzi. È anche vero che Pd e M5S sono prigionieri l’uno dell’altro: fa parte delle logiche di un’alleanza cementata esclusivamente dall’esigenza di non concedere le elezioni a Salvini. I dem hanno un’agenda tutta e soltanto europea, incentrata sul Mes. In questa fase tale agenda è rovinosa e i problemi veri nasceranno in sede di dibattito sulla prossima legge di bilancio.
Sarà quella la deadline definitiva?
Si tratterà di capire come rimediare al buco di bilancio che si sta creando oggi: questa operazione la facciamo fare a Conte per il tramite di Pd e M5S, dove i primi ci mettono la guida e i secondi i voti in Parlamento, oppure a Mario Draghi con un governo allargato?
Crede alla strada del governo per rifare l’Italia, come osservato sul Foglio da Michele Salvati?
No, per due motivi. Mettere assieme Lega e Pd sarebbe sconcertante a livello di messaggio politico. Inoltre la Lega probabilmente non avrebbe interesse a farsi carico delle misure di impopolarità lacrime e sangue che bisognerà prendere, tranne che la Lega non si spacchi tramite una linea di frattura che sarebbe Lombardo-Veneto contro il resto. Qui andremmo molto verso la fantapolitica.
Quindi nessun cambiamento?
Il tentativo che sarà fatto penso sarà quello di provare a far fare la finanziaria a Conte, portando avanti questo governo il più possibile, nella speranza che l’Europa, ovvero la Germania, sia conciliante e che la nostra economia reale riparta.
Dalla crisi economica in cui ci troviamo pensa si esca più con un esecutivo politico che non con un gabinetto di guerra?
In Italia non c’è un ceto politico da guerra, ma uno che alterna cecità e buon senso. Mi auguro prevalgano i secondi, nella consapevolezza che in una fase di recessione non si può reagire con strumenti di austerità: lo abbiamo già fatto con il governo Monti e il risultato è stato una doppia austerità devastante, che ha lanciato tanto il M5S quanto la Lega. Per cui mi aspetto un governo politico.
Basteranno i cospicui bonus ad evitare quello che Piero Ignazi ha definito “uno tsunami di collera” che rischia di travolgerci tutti?
Prima di tutto direi che i bonus, quelli destinati ai comuni cittadini, non sono cospicui, a differenza di quelli che vanno lungo la rotta di Confindustria o Fiat, che appartengono ad un’altra storia. Il grosso del problema attuale non è tanto di far resistere attività economiche o professioni: esse devono tornare ad ingranare in virtù del consumo che in questi due mesi si è fermato. Per far sì che cittadini tornino a spendere, devono avere fiducia che siamo lungo la strada del ritorno alla normalità. Occorrerà del tempo, ma senza che sia lo Stato a doversi far carico di rimettere in moto l’economia: bensì attraverso un processo virtuoso.
Basterà?
I soggetti economici più deboli all’inizio rischieranno di scomparire, per questa ragione penso che i bonus siano pochi e tardivi. Il nodo è che c’è un collasso dell’economia reale accanto ad un problema finanziario strutturale a monte, dovuto al fatto che non si può monetizzare il debito né le spese straordinarie. Stiamo andando verso un rapporto deficit-pil pauroso: non ci sarà un Qe adeguato, per cui a quel punto si presenterà il rischio che le autorità politiche siano indotte a prendere misure che produrranno rabbia popolare.
Un memorandum in stile greco?
Tagli a stipendi e pensioni, patrimoniali, consolidamento di parte del debito pubblico: uno schema che il sistema politico non sarebbe in grado di assorbire.
Come leggere il rapporto tra Palazzo Chigi e le regioni? Il governatore campano Vincenzo De Luca non intende aprire dal 3 giugno, ad esempio…
De Luca sta trattando, non sta dicendo di voler chiudere perché semplicemente non può farlo. Emerge un problema che l’istituto regionale enfatizza anziché ridurre: le differenze interne al corpo politico nazionale e regionale, se solitamente vengono gestite, durante l’emergenza sanitaria sono state esacerbate. Si staglia chiaramente una forte critica verso l’istituto regionale, che ha moltiplicato le burocrazie e i centri di spesa. Alcune Regioni sono apparse ben organizzate, come Veneto ed Emilia Romagna, altre solo fonti di problemi. Sarebbe un nodo da affrontare se questo Paese fosse capace di fare politica di medio periodo. La riforma del titolo V della Costituzione non è stata un buon affare.
Che ne pensa dell’appello alla filantropia lanciato ieri sul Corriere della Sera da Ferruccio De Bortoli?
Eravamo la settima potenza industriale del pianeta: siamo costretti ad affidarci ai filantropi per ripartire? E i filantropi sono davvero tali? Siamo così al di sotto della politica nell’affrontare la concretezza? Mi sembra favolistica come soluzione. Occorre un fortissimo governo politico capace di gestire al tempo stesso la contingenza e con delle prospettive costituenti, ripensando i nodi profondi dell’Italia come la Pubblica Amministrazione e le Infrastrutture.
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