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Fase 3, il piano di Carlo Calenda per riaprire l’Italia (regione per regione)

Carlo Calenda ha un piano per la Fase 3. Semaforo verde, giallo, rosso. Il leader di “Azione” ed ex ministro dello Sviluppo economico, traccia la road map per la ripartenza, con pochi, netti criteri. Affidarsi ai numeri e a parametri oggettivi, per evitare di navigare a vista. E disegnare un’uscita dalla Fase 2 differenziata regione per regione.

Nel giorno in cui sfiducia il commissario straordinario Domenico Arcuri, a lui vicinissimo quando era alla guida di Invitalia, chiedendone le dimissoni su Twitter, Calenda passa al contrattacco e presenta il suo programma per riaprire il Paese.

“Le prescrizioni del governo per la Fase 2 non sembrano avere alcun razionale – recita il documento del partito. Non vi è una differenziazione geografica fatta in base al numero dei contagi e alla disponibilità di strutture sanitarie, tamponi, analisi sierologiche, dispositivi di protezione. In poche parole il governo ha, ancora una volta, scelto la soluzione più facile in termini di azione pubblica e più difficile per i cittadini”.

La riapertura delle attività produttive deve essere differenziata per regioni e per settori, è la premessa del programma. “È indispensabile pianificare una riapertura differenziata tra le regioni italiane. La scalabilità della riapertura dovrà poi riguardare non solo le regioni ma anche i diversi settori produttivi all’interno dei singoli contesti regionali”.

Come decidere chi riparte e chi no? Si parte dai dati sanitari delle strutture e dei laboratori delle singole regioni, che “dovranno essere integrati con le informazioni derivanti dall’uso delle applicazioni tecnologiche per il tracciamento dei contatti di prossimità e per l’assistenza medica ai casi positivi in isolamento”. Segue una valutazione dello stato di salute della sanità regionale, con uno screening delle “dotazioni strutturali e strumentali e le risorse umane”.

È il caso dei “Covid hospital” così come delle “strutture per l’isolamento fiduciario, dai reparti di ospedali riservati ai pazienti Covid ai posti letto di terapia intensiva”. Infine la sorveglianza sanitaria sul territorio, che è la “strada maestra per intercettare precocemente il caso positivo che, eventualmente asintomatico o pauci sintomatico, sia un veicolo dell’infezione, ma anche per intervenire tempestivamente sul caso francamente sintomatico in modo da trattare la malattia prima che possa aggravarsi al punto di aver bisogno di cure intensive ospedaliere”.

Il programma di Calenda passa poi a elencare dieci parametri per dettare la road map delle riaperture. Si parte dall’indice di trasmissibilità (R), che indica la media di persone infettate da un singolo individuo infetto. Maggiore di due? Lockdown. Tra uno e due? Chiusi solo i settori a maggior rischio. Inferiore a uno? Riapertura completa, nel rispetto delle norme.

Il gioco dei semafori rosso, giallo e verde si applica a tutti gli altri parametri. Il rapporto percentuale positivi Covid-19 su abitanti e il numero di test diagnostici effettuati, il numero di tamponi per mille abitanti e quello di test mensili sierologici sugli occupati, le misure di sicurezza sui posti di lavoro e, quindi, la disponibilità di mascherine (e degli altri Dpi, dispositivi di protezione individuale). Ci sono solo 30 mascherine al mese e unicamente per gli occupati? Tutto rimane chiuso. Ce ne sono 30 al mese per tutti gli abitanti sopra i 14 anni? Al via la riapertura.

E poi ancora: la quantità di medici di medicina generale per pazienti e del personale dei dipartimenti di prevenzione regionali, il fabbisogno di posti letto per la terapia intensiva, le stanze per l’isolamento fiduciario. Per ultimo, il tracciamento digitale dei contatti con un’app.

Semaforo verde per Immuni. Calenda, che nelle ultime settimane ha espresso non poche perplessità l’app costruita da Bending Spoon, sembra non avere grandi dubbi: “La rapidità nella rilevazione dei contatti di prossimità avvenuti con individui risultati positivi e l’attivazione delle relative contromisure, sono fattori cruciali per evitare contagi di ritorno”.

Tornano i semafori. Rosso, se meno del 60% della popolazione ha Immuni sullo smartphone. Giallo, tra il 61%e il 70%. Verde sopra il 71%.

Certo, passare all'”Azione” non sarà così facile. Il documento dell’ex ministro riconosce che poche regioni hanno messo a disposizione i dati necessari per accendere i semafori. Ne mette a confronto quattro: Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio e Calabria. Se le due regioni del centro-Sud sembrano pronte a ripartire, diverso è il discorso per le regioni-epicentro del virus in Italia. In Lombardia il semaforo dei medici di medicina generale è rosso fuoco. Troppo alto il numero di contagiati, troppo basso quello dei tamponi effettuati. La ripartenza o sarà differenziata, o non sarà affatto.



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