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Covid-19, così in Russia piovono i dottori (dissidenti)

Uno dopo l’altro, volano giù dalla finestra. Suicidio, è la diagnosi immediata delle autorità. Ma in Russia questa parola suscita sempre qualche dubbio. Solo nelle ultime due settimane, sono tre i medici e operatori sanitari che hanno fatto un salto nel vuoto.

L’ultimo in ordine di tempo si chiama Alexander Shulepov, 37 anni, operatore sanitario di Voronez, città della Russia sud-occidentale, non distante dal confine ucraino. Ricoverato in un ospedale di campagna a Novaya Usman dopo aver contratto il coronavirus, è caduto dal secondo piano ed è in condizioni critiche per la frattura cranica riportata.

Prima di lui sono andate incontro alla stessa sorte due dottoresse, Elena Nepomnyashchaya, primario a Krasnoyarsk, in Siberia, e Natalia Lebedeva, capo della sezione ambulanze dell’ospedale di Zvyozdny, cittadina non lontana da Mosca. La prima dal quinto piano del suo ospedale, la seconda dal sesto, riporta la stampa locale, entrambe decedute.

Incidenti, o atti di disperazione. Così sono indicati dalle autorità. Ma un fil-rouge sembra unirli: la rabbia e la frustrazione per l’assenza di dispositivi medici, materiale e personale sanitario per gestire una crisi che in Russia sta facendo sentire uno dei morsi più dolorosi.

Al 3 maggio, sono ben 134.687 i casi, con il record dell’incremento in una sola giornata (+10.633 nuovi ammalati, di questi 5.948 solo a Mosca). Come ha spiegato su Formiche.net il prof. Giovanni Savino dell’Accademia presidenziale di Mosca, la crisi è tanto acuta che di questo passo “non è così peregrino” immaginare  “un crollo economico e sociale della complessa struttura del potere russo di fronte all’acuirsi delle emergenze”.

Le proteste del settore sanitario russo continuano ininterrotte contro l’insufficienza di risorse adeguate a far fronte al dramma del Covid-19. In tutti e tre i casi dei suicidi in questione, il dissenso si era fatto sentire, fra amici e conoscenti, ma anche pubblicamente.

Shulepov aveva girato un video con un collega in cui denunciava che il primario dell’ospedale di Vovaya Usman lo aveva costretto a lavorare nonostante fosse risultato positivo al tampone. Nel filmato, il giovane operatore puntava il dito contro la mancanza di dispositivi di protezione per gli operatori sanitari. Accuse frettolosamente ritirate in un secondo video.

“Emotive”, così le ha definite nell’ultima testimonianza che lo riprende. Il collega che aveva filmato il video-denuncia, Alexander Kosyakin, è stato accusato di diffondere fake news sul virus, un reato che in Russia viene punito con una pena fino a cinque anni di detenzione.

La settimana prima, il volo della Nepomnyashchaya, primario dell’ospedale per veterani di guerra di Krasnkoyarsk.

Secondo i media locali, è volata giù dalla finestra nel bel mezzo di una videoconferenza con il ministro della Salute regionale Boris Nemik, mentre esprimeva un parere negativo sulla proposta di trasformare un edificio della città siberiana in una struttura per curare i pazienti da Covid-19.

Interrogato dalla stampa locale sulla possibile causa-umana (e dolosa) della vicenda, il vice-capo del governo regionale di Kransoyarsk Aleksey Podkorytov non ha mancato di rispondere con un certo tatto. “Possono essere successe così tante cose, potrebbe essere stato a causa della primavera, o dello stress generale, magari qualcosa in famiglia”.

Ancora più fitta è la coltre di mistero che avvolge la morte della Lebedeva, a capo del Reparto emergenze dell’Unità medico-sanitaria della Città delle Stelle, un centro dell’Oblast di Mosca. La cittadina, che deve il suo nome per essere dai primi anni ’60 il centro di addestramento degli astronauti russi, è diventata nelle ultime settimane un piccolo focolaio del virus, con ben ventidue persone infette.

Il paziente zero, riporta il giornale locale Moskovsky Komsomolets, è stato proprio uno dei dirigenti dello Yuri Gagarin Cosmonaut Training Centre. Fra i medici che non sono riusciti a curarlo nella struttura, c’era proprio la Lebedeva, che negli ultimi giorni era stata accusata dai suoi superiori di non aver gestito l’emergenza e di non aver impedito l’infezione dei suoi colleghi e dei dipendenti.



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