Ho la sensazione che il presidente del Consiglio e la pletora di esperti (ma di che cosa?) che lo circonda e lo consiglia, si siano decisi alla timida “apertura” con il timore che da un momento all’altro possa divampare nuovamente il virus. Le dichiarazioni di Conte evidenziano una pavidità che francamente una personalità nella sua posizione non si può permettere. Siamo tutti (o quasi) perplessi di fronte a numeri tutt’altro che rassicuranti. Sappiamo benissimo che rimettere in circolazione quattro milioni e mezzo di lavoratori è un rischio altissimo in questa situazione. Conosciamo le resistenze dei nostri connazionali (che pur hanno dato prova di responsabilità e senso civico) a restarsene ancora rintanati in casa. Ma consapevoli di tutto ciò ci chiediamo: se Conte, il governo e gli scienziati che gli sono d’attorno, oltre all’inutile task force che non si è capito che cosa fa avendo già a disposizione la Protezione civile, non erano convinti al cento per cento delle misure che stavano assumendo, perché lo hanno fatto?
Certo, la piazza, le richieste degli imprenditori, dei commercianti, dei professionisti e perfino dei calciatori, oltre che di tutte le categorie che comprensibilmente non vedono l’ora di abbandonare gli “arresti domiciliari”, hanno inciso nella decisione assunta. Ma decidere con la paura, inoculare incertezze, instillare precarietà non è forse un male peggiore di quello che s’intende a curare?
Diciamocelo francamente: le misure assunte, per quanto modestissime, sono state emanate controvoglia. E se disgraziatamente non dovessero funzionare, Conte se ne dovrà assumere la responsabilità fino a dimettersi dall’incarico. Altro sarebbe l’atteggiamento se invece di fare ricorso, come ormai si è abituato per manifestare le sue decisioni, attraverso un Dpcm, strumento giuridico di scarso valore, avesse chiesto al Parlamento (completamente esautorato), dopo approfondito dibattito su tutta la vicenda, una pronuncia sul da farsi, sarebbe stato più sereno lui e forse anche noi.
Intanto avrebbe ottenuto il coinvolgimento della nazione attraverso i suoi rappresentati. E poi si sarebbe cautelato di fronte a malaugurati incidenti di percorso. Invece ha voluto fare tutto da solo, sfoderando, tra l’altro, una spocchia che non si addice ad un presidente del Consiglio legittimato alla carica da un giochetto partitocratico che si è poi rivelato trasformista e dunque ancor più indecente politicamente.
Resta, comunque, il problema dell’insicurezza. Un problema non da poco. I giornali sottolineano la scarsa convinzione con cui ci si appresta a rompere (sia pure di poco) la “clausura” scontentando peraltro più che accontentare i cittadini che, dai proclami delle scorse settimane, si aspettavano qualcosa di più. Mentre le Regioni insorgono nel nome di un “consumismo” a rischio, ribellandosi alle disposizioni governative ed innescando un conflitto che non aiuterà certamente a superare la criticità del momento. Ognuno in ordine sparso, dunque. Del resto, quando si è data alle Regioni la potestà legislativa ed amministrativa mettendola sullo stesso piano di quella dello Stato (l’orrendo Titolo V della Costituzione stravolto da un riforma stupida e lesiva della coerenza tra i poteri costituzionali) il minimo che possa accadere è questa sottile rivolta che da Veneto alla Calabria si sta innescando, complici anche i provvedimenti governativi la cui formulazione non è assolutamente cogente, privi come sono di forza di legge.
Da qui l’inquietudine della maggioranza degli italiani che si vedono in balia di contrastanti provvedimenti e comportamenti pubblici e nutrono il fondato sospetto che il caos possa riaprire le falle faticosamente chiuse e dare nuovamente forza al virus. La confusione, le contraddizioni, le incomprensioni nelle parole di Conte ci hanno fatto capire che probabilmente non siamo pronti al grande salto. E, Dio non voglia, dovesse accadere ciò che è accaduto in Germania, dopo altrettante timide aperture, non so proprio come ci atteggeremo davanti ad una nuova ondata epidemica, mentre la prima non è ancora finita.
Ci vuole coraggio, in definitiva. Anche a dire di no. Ovviamente non mi piace la militarizzazione del Paese, né gli strumenti individuati di controllo della popolazione e tantomeno l’esclusione del Parlamento e dei consigli regionali in tutta la faccenda. Ma mi domando: la priorità è la vita e la sanità di un popolo o la sua sua economia, il suo Pil, la sua crescita? Tutto ciò lo si può ottenere soltanto se la gente sta bene – è ovvio – se produce in serenità, se può permettersi anche qualche svago necessario per affrontare la vita mai facile di questi tempi, a prescindere dal Covid-19. Sarebbe stato molto più sensato se il governo si fosse assunto l’onere di provvedere a chi perde stipendio e lavoro ad intervenire con sussidi a fondo perduto in favore di chi ha bisogno.
Conte parlò un paio di mesi fa della più colossale operazione finanziaria che si era mai vista per sopperire a quanto necessitava. Non s’è visto niente anche per l’impudente ostacolo di quella carabattola ingombrante che è l’Unione europea fondata sull’egoismo e nemica oggettiva di qualsiasi forma di solidarietà.