Pechino ha fissato la data per la riapertura anche dell’Assemblea nazionale del popolo (Anp): il parlamento cinese si riunirà in sessione plenaria per i lavori annuali il 22 maggio. Oltre due mesi e mezzo dopo la data tradizionale, il 5 marzo. A quei tempi in Cina l’epidemia di SarsCoV2 era dilagante, ma adesso il Paese del segretario Xi Jinping sta raccontando al mondo il suo ritorno alla normalità.
Non a caso, il Comitato permanente del Partito ha commentato la deliberazione sulla convocazione dell’Assemblea spiegando che “la situazione di prevenzione e controllo dell’epidemia di Covid-19 in Cina sta stabilmente migliorando e la normale vita economica e sociale sta gradualmente riprendendo” e dunque sulla base di questo “esistono le condizioni per convocare in un momento appropriato la terza riunione della tredicesima Assemblea nazionale del popolo”. Il giorni prima, il 21 maggio, ci sarà la riunione della Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese, che è l’organo consultivo dell’Anp, che normalmente avvia i lavori della sua sessione plenaria con due giorni di anticipo.
“La crisi del Covid sta accelerando il decoupling tra la Cina e parte dell’Occidente: Dalia Marin dell’Università di Monaco ha recentemente dimostrato come la pandemia metta a rischio il 35.4% delle supply chains globali creando un’incertezza che spinge le aziende a accelerare processi di reshoring” spiega a Formiche.net Enrico Fardella, professore di Storia delle relazioni internazionali alla Peking University, la più antica e prestigiosa università cinese, e fondatore del Centro di Studi di Area sul Mediterraneo da cui è scaturito la piattaforma di ricerca China Med.
Inquadrare il contesto serve per capire come le due Assemblee “dovranno fornire dunque risposte– continua Fardella – per preparare la Cina a un mondo descritto sempre più da processi di regionalizzazione politica ed economica, un mondo in cui la Cina non sarà più l’unico grande centro della produzione manifatturiera globale”.
La riunione dei due organi è il momento in cui, annualmente, la Cina approva le leggi e fornisce indicazioni sui propri obiettivi economici. La crisi prodotta dal coronavirus ha dato indicazioni su possibili perdite economiche che il Dragone potrebbe subire anche in termini di crescita, per questo c’è molta attenzione su quello che uscirà dalle consultazioni – che di solito si protraggono per diversi giorni, ma potrebbero subire cambiamenti dovuti alle misure di controllo sanitario che ancora restano attive per evitare ondate epidemiche di ritorno.
Quello che la Cina si trova davanti “non sarà un cambiamento repentino: ci vorrà tempo e tanto, forse troppo, denaro per ricostruire fabbriche e infrastrutture”, spiega il professore della Peking: “Nel frattempo la Cina resta al centro in quasi tutti i settori industriali a livello globale e ha tempo per prepararsi a entrare nel ‘periodo di opportunità storica’ (2021-2050) che dovrebbe traghettarla entro il suo centesimo compleanno al ruolo di grande potenza”.
È la Cina super-potenza che Xi immagina. E il contraccolpo dell’epidemia? “Secondo Lardy e Huang l’economia cinese non soffrirà, così come molti credono, della flessione degli scambi causata dal Covid. La Cina – spiega Fardella – è infatti molto meno dipendente dalle esportazioni rispetto al passato (4% del Pil in termini di valore aggiunto) e la sua ripresa sarà dunque guidata dalla ripresa della domanda interna”. Inoltre, il professore ricorda che il 9 aprile scorso il governo cinese ha pubblicato una proposta per un nuovo piano di riforme economiche che “potrebbe finalmente realizzare alcune delle liberalizzazioni a favore del settore privato annunciate, ma non ancora implementate, nel Terzo Plenum del 18esimo Congresso del Partito del Novembre 2013”.
Michael Pettis sul Financial Times ha scritto che l’economia cinese sembra essere profondamente sbilanciata proprio a causa dell’insufficiente domanda interna. A differenza di quanto accade nel resto dei Paesi industrializzati, in Cina infatti la domanda interna è “una delle più esigue mai registrate nel corso della storia”. “Tuttavia, sebbene le riforme dovrebbero mirare a stimolarla, gli unici investimenti che possono mantenere una crescita del PIL politicamente ‘sostenibile’ (intorno al 5-6%) sono quelli delle infrastrutture e dell’immobiliare in cui solo lo Stato ha interesse a investire”.
E quindi? “Delle due l’una – aggiunge – o le due assemblee sanzioneranno l’inizio di una nuova era fatta di tassi di crescita più sostenibili, alimentati dalle forze del mercato, oppure lo stato continuerà a giocare un ruolo dominante in un’economia fondata su alti tassi di debito e la contrazione della domanda interna”. Secondo Fardella a fine maggio “sapremo forse con quale veste la Cina deciderà di inaugurare questo suo ‘periodo di opportunità storica’: da questa decisione dipenderanno probabilmente profili, equilibri e confini del mondo di domani”.