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La tecnologia amplifica l’uomo, non lo sostituisce. Parola di Schnapp (Harvard)

Una nuova visione dell’Intelligenza Artificiale applicata alla mobilità, ma anche alla formazione. Una riflessione-ponte tra Stati Uniti e Italia, quella tra il direttore generale Luiss Giovanni Lo Storto e il fondatore del MetaLab di Harvard Jeffrey Schnapp nella terza Master Class organizzata dall’Ateneo intitolato a Guido Carli, moderata dal Rettore Andrea Prencipe. Le pandemie sono innovatori, costruiscono i processi e li accelerano, rimodulando il rapporto tra uomo e macchina.

“Da 30 anni a questa parte si è speculato molto sull’Intelligenza Artificiale (IA) vista come un sogno” – ha esordito Jeffrey Schnapp, in collegamento dal Vermont – “con l’idea che un giorno sarebbe stata in grado di gestire la mobilità nelle metropoli permettendo ad ogni automobile di navigare la complessità dei nostri ambienti urbani con la ricognizione di tutti gli oggetti a tiro, che fossero pedoni, alberi o altre macchine. Mentre Elon Musk parlava di attraversare il continente americano nel 2017 senza guida, General Motors voleva consegnare le automobili self driving nel 2019”. Dinanzi a questi propositi, ci sono state però delle frenate brusche”.

Come mai? Per mancanza di fondi? “In realtà, gli investimenti in questo campo hanno toccato i 16 miliardi di dollari” – ha proseguito Schnapp, spiegando: “Quando parliamo di IA, pensiamo che l’intelligenza delle macchine possa replicare quella umana. O quando parliamo di machine learning, pensiamo al processo di apprendimento umano. In realtà, i server consumano più di quanto non facciano 10.000 macchine in un giorno. Per questo mi sento di proporre di sostituire questo approccio antropocentrico ad un immaginario in cui le tecnologie permettono di ampliare l’intelligenza umana”.

E da lì la proposta: “Potremmo coniare un nuovo termine, ossia ‘Umanesimo artificiale’, che rappresenterebbe un invito a comprendere che dobbiamo andare oltre un approccio che ha definito buona parte nella storia del dialogo con le tecnologie digitali”.

A fargli eco, il direttore generale Luiss Lo Storto: “Ci eravamo quasi abituati a sentirci dire che il digitale, l’Internet of Things, l’IA fossero da temere perché ci avrebbero sostituito, non essendo stati in grado di interagirci. Si era sviluppata una posizione netta sul fatto che il digitale a scuola e negli Atenei rallentasse il processo di apprendimento degli studenti. Con l’esplosione della pandemia, abbiamo assistito a un ribaltamento di approccio: i genitori che non volevano il digitale hanno protestato perché figli facessero digital learning da casa”.

Come ha scritto Sebastiano Maffettone, direttore Ethos Business School, le somme forse possono essere fatte guardando ad un aspetto terzo: l’uomo è rimasto sorpreso di fronte alla pandemia. Abbiamo scoperto che siamo impotenti, come lo scoprimmo quando Copernico ci disse che la Terra girava intorno al Sole.

Dinanzi a questo scenario, esiste uno spill-over secondo cui lo sviluppo tecnologico è più accelerato della evoluzione umana, che ha ritmi più lenti e, quando la tecnologia aumenta, l’essere umano soffre perché rimane indietro. “L’unica salvezza è rappresentata dalla costruzione di una coscienza cognitiva e critica che, mediante la formazione, può lasciare all’essere umano la consapevolezza che la macchina è a nostro favore” – ha spiegato Lo Storto – “Come affermava Pico della Mirandola, il primo pensatore che parlò di “umanesimo”, la chiave parla della vera soft skills dell’uomo, ossia il libero arbitrio: che può da solo elevarsi o abbrutirsi.

In questo senso, come scrive Noal Yuvah Harari, la sfida non è tra l’uomo e le macchine, ma tra l’uomo e la sua rilevanza, mentre la relazione tra l’uomo e la macchina, semmai, deve strutturarsi come una collaborazione per creare valore.

Per avere il controllo di questo rapporto, Lo Storto, concludendo il suo intervento, ha asserito che l’uomo dovrebbe “conservare la sua curiosità e la voglia di fare domande, come fanno i bambini, un vantaggio competitivo che abbiamo sulla macchina che, mossa da connessioni di algoritmi, non si chiede “perché”. Se continueremo a chiederci il “perché” delle cose, continueremo a sperimentare, ad allenare la creatività e a quel punto saremo capace di innovare. A maggiore Intelligenza Artificiale corrisponde maggiore umanità, maggior creatività e ulteriore possibilità di generare reti”.

Amplificare, non sostituire.

 

 

 

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