Operazione distrazione. La pandemia del coronavirus ha monopolizzato le prime pagine dei quotidiani, il dibattito politico, infervorato l’opinione pubblica mondiale. Dietro i grandi riflettori della crisi, in penombra, rimangono storie da raccontare, e da non dimenticare. Persone, famiglie, comunità, nazioni costrette a vivere una quotidiana privazione delle libertà fondamentali, a fare i conti con uno Stato illiberale, censore, autoritario, onnipresente, si ritrovano oggi sospese in un limbo, lontane dal riparo dei media internazionali. “È in questo momento che gli Stati autoritari colpiscono più forte”, confida a Formiche.net Alina Polyakova, presidente del Cepa (Center for european policy analysis), una delle più autorevoli voci delle Relazioni internazionali negli Stati Uniti.
Polyakova, l’emergenza rischia di mettere in penombra le violazioni dei diritti umani?
La crisi mondiale sta dando vita a una narrazione pericolosa: i Paesi autoritari sono più preparati e più efficienti delle democrazie nella gestione dell’emergenza. La Cina ha fatto di tutto per accentuare questo confronto, per esaltare la differenza con la reazione caotica, confusionale degli Stati occidentali. Ma i conti non tornano.
Cioè?
Chi cede a questa narrazione non dovrebbe perdere di vista la bigger picture. Sa cosa vuol dire vivere in un Paese dove non esiste libertà politica, dove lo Stato perpetra violazioni di massa dei diritti umani e sorveglia i cittadini, dove non esiste una cultura delle libertà fondamentali?
La comunità internazionale convive con tutto questo, e non fa grandi distinzioni. È anche grazie a questa accondiscendenza che fiorisce il fascino autoritario, o no?
Difficile trovare un solo responsabile. La Cina ha solo parzialmente nascosto la sua natura autoritaria. Non sopporta il giornalismo indipendente, e infatti ha appena espulso dal Paese alcuni dei più noti inviati di grandi testate americane. Mantiene un controllo totale sull’informazione, e ha coperto le mancanze e le colpevolezze nella gestione della crisi con un’operazione di censura che ha pochi eguali. Certo, la trasformazione digitale degli ultimi dieci anni ha reso i confini più sfocati. Le persone non si fidano dei numeri, dell’informazione qualificata o delle istituzioni, ma di quello che leggono su blog, facebook, twitter. Così è tutto più difficile.
Le istituzioni multilaterali hanno le loro colpe? Più di una volta l’Onu ha fatto finta di non vedere.
Queste istituzioni sono state concepite e costruite per mettere in piedi un modello di governance globale. La Cina ha dimostrato di avere un alto potenziale di cooptazione, e coercizione, delle organizzazioni internazionali. Negli anni il governo cinese ha saputo imporre la sua agenda anti-democrazia, anti-libertà e diritti umani, anti-apertura dei mercati, anti-tutto quel che sta a cuore alle democrazie occidentali. Il caso dell’Oms è incredibile, il modo in cui ha evitato qualsiasi critica alla mala-gestio cinese della pandemia, l’esclusione di Taiwan dal flusso di informazioni sul virus.
Donald Trump ha avuto un’idea: via i fondi. Ha qualche ragione?
L’amministrazione ha ragione a puntare il dito contro la crescente pressione politica di cui questi organismi sono vittime, e a metterne in evidenza le responsabilità. Sinceramente non credo che congelare i finanziamenti all’Oms sia il modo migliore per manifestare il dissenso. Sarebbe più efficace lavorare al fianco degli alleati europei, in un fronte comune per rispedire al mittente l’influenza autoritaria.
In questo periodo non è facile stabilire le priorità. La crisi sanitaria ed economica si prende le prime pagine, i diritti umani un po’ meno.
Questo è uno dei rischi. Gli Stati autoritari cercheranno di premere per un’agenda ancora più illiberale. Ora che il mondo è voltato dall’altra parte è più semplice consolidare il controllo domestico. La crisi offre una finestra per rafforzare la morsa autoritaria. Il Venezuela è un caso esemplare.
Perché?
La crisi sta colpendo Nicolas Maduro, ma ha anche messo in sordina le manifestazioni di piazza e il dissenso popolare, per ragioni molto semplici: niente più assembramenti, niente manifestazioni. Sette anni fa, a Maidan, decine di migliaia di persone sono scese in piazza per denunciare i loro leader autocratici. Oggi sarebbe impensabile.
Le faccio un altro esempio: Hong Kong. Il coronavirus cala il sipario sulle proteste?
Anche prima di questa crisi era difficile intravedere una strategia di lungo periodo dietro le dimostrazioni a Hong Kong, la battaglia per la democrazia è in salita. Fino a poco tempo fa il porto era un tassello chiave della finanza e dell’economia cinese, oggi quel fattore si è molto affievolito e di conseguenza il suo potere negoziale. La Cina continentale si è resa conto che può farcela anche senza, e questa convinzione sta accelerando la repressione delle proteste. La crisi sanitaria ha dato il via a un domino di misure draconiane delle pubbliche autorità.
Chiudiamo con una nota amara. Nella politica americana non ci sono tante battaglie bipartisan, ma i diritti umani sono una di queste. In Europa, in Italia, non è proprio la stessa cosa.
Da molto tempo i diritti umani sono oggetto di una battaglia bipartisan negli Usa. Questa amministrazione ha dato loro spazio ma all’interno di altri fronti considerati prioritari, come quello commerciale. Credo sia un errore. Ci sono Paesi come la Russia, la Cina o il Venezuela dove questi diritti continuano ad essere calpestati, ogni giorno. Non si può abbassare la guardia.