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Petrolio, a cosa porterà la crisi dei prezzi (innescata dalla Russia)

“Questo violento riequilibrio forzato manterrà la volatilità dei prezzi eccezionalmente elevata a maggio”, spiega Goldman Sachs in un briefing che segue a caldo la crisi dei prezzi che ha colpito il Wti – scambiato per la prima volta nella storia, lunedì 20 aprile, sotto lo zero. Ossia i produttori pagavano gli acquirenti per immagazzinare il bene.

Si tratta della crisi prodotta dalla diffusione del coronavirus, ma non solo. Il rallentamento delle catene economiche, i blocchi parziali ai sistemi produttivi, il distanziamento sociale che ha prodotto i lockdown in dozzine di Paesi del mondo, hanno certamente portato un calo enorme della domanda. E il greggio vale meno degli impianti logistici in cui stoccarli (che solitamente sono un elemento impalpabile della catena del valore del petrolio). Chi ha un deposito, in questo momento non solo compra a prezzo vantaggioso, ma addirittura viene ripagato.

Ora la situazione sta ancora cambiando, perché lo spazio per stivare il greggio si sta esaurendo. E questo ha prodotto un “lockdown dei pozzi” (come scrive Sissi Bellomo sul Sole 24 Ore): giacimenti chiusi, in attesa della ripresa. Gli shaler soffrono i costi bassi – e su questo l’amministrazione americana sta già cercando di bilanciare con sussidi – ma anche nel Golfo del Messico, dove si estrae in modo tradizionale, si iniziano a vedere i primi effetti. I due impianti di Cantium e Fieldwood. Una questione globale, che riguarda anche la Nigeria, dove non ci sono spazi di immagazzinamento e vengono fermate per questo le trivelle.

Gli strateghi che seguono le materie prime per il gigante finanziario newyorkese guidato da David Solomon erano tra coloro che hanno sottolineato da tempo la criticità. Aggravata a inizio marzo da uno scontro interno al sistema Opec+. I sauditi chiedevano di proseguire con tagli alle produzioni, per provare a rialzare i prezzi. I russi non volevano accettare di partecipare alla contrazione produttiva, scatenando l’ira di Riad.

Il regno annunciava un aumento dell’outlet e sconti extra ad aprile. Il prezzo slittava verso il basso, quasi incontrollato visto il contesto di domanda flebile previsto anche per diversi dei prossimi mesi.

In un podcast del 10 marzo, Jeff Currie della Goldman Sachs Research parlava della decisione dell’Arabia Saudita come di un “New Oil Order”, in cui i produttori a basso costo aumentano l’offerta dalla loro capacità di riserva per costringere i produttori più costosi a ridurre la produzione.

GLI USA COLPITI

A distanza di un mese, il 10 aprile, dopo trattative serrate e posizioni arroccate, è poi arrivato un accordo tra i Paesi dell’Opec+. All’intesa su tagli da 9,7 milioni di barili al giorno, hanno deciso di partecipare anche gli Stati Uniti – i più colpiti dal prezzo basso, per via degli alti costi produttivi degli shale oil, che hanno permesso l’indipendenza alla potenza americana; indipendenza che crea complessità geoeconomica per i paesi produttori.

Tanto che lati degli apparati americani tendono a considerare la crisi innescata come forma di attacco contro gli Usa. E in effetti l’idea marzolina russa di colpire la produzione americana è alla base dello showdown di un mese fa – dal quale i sauditi non si sono tirati indietro, senza troppo pensare (o magari pensandoci bene) agli interessi americani, salvo poi finire sotto pressing estremo. Capitol Hill ha mosso i legislatori su Riad, che alla fine, sotto massima pressione, ha accettato di trattare con Mosca e avviare una nuova politica di tagli. Le colpe russe sulla crisi attuale non sono passate inosservate a Washington, e – magari per coincidenza – martedì 21 aprile il Congresso ha confermato la linea dura concettuale sulla Russia.

Un nuovo rapporto del Senato ha obliterato le affermazioni del presidente Donald Trump e dei suoi alleati secondo cui i funzionari dell’era Obama avrebbero cercato di minare il magnate-candidato mentre indagavano sulle ingerenze elettorali della Russia nel 2016. Una revisione triennale della commissione intelligence della camera alta, guidata dai repubblicani, ha riportato all’unanimità che la valutazione della comunità dell’intelligence, che attribuiva la colpa alla Russia delle interferenze – delineando i suoi obiettivi: minare la democrazia americana – era fondamentalmente solida e non contaminata dalla politica (ossia dai Dem, come diceva il presidente).

LA SPECULAZIONE FINANZIARIA E LA STAGNAZIONE DEI PREZZI

Il colpo di grazia al quadro già critico sul greggio l’ha dato l’assestamento di portafoglio dell’Us Oil Fund, hedge fund egemonico sul mondo del petrolio, che da lunedì ha iniziato a vendere i futures di maggio (perché i costi di stoccaggio sarebbero diventati un onere senza garanzie effettive) e comprare giugno – quando si pensa che i lockdown dovrebbero essere allentati un poi ovunque e i tagli produttivi (al via proprio da maggio) inizieranno a far sentire effetti sul prezzo del greggio. Risultato: quello che abbiamo visto a inizio settimana, il petrolio nordamericano, il West Texas Intermediate (WTI), venduto al negativo.

FUTURO

In una previsione fatta per Ispi, Eugenio Dacrema, head del Mena Center, scrive che anche quando aerei e automobili saranno nuovamente liberi di muoversi ai livelli precedenti alla crisi – qualcosa di verosimile non prima di un anno – “centinaia di milioni, se non miliardi, di barili si saranno ammassati in ogni spazio possibile in gran parte del mondo”. Nel frattempo i prezzi di stoccaggio manterranno il trend opposto a quello del greggio, ossia tenderanno a salire perché come detto la logistica di immagazzinamento in questo momento vale più del prodotto stesso.

“Ciò significa che se anche la domanda dovesse tornare pienamente ai livelli pre-crisi nell’arco di un anno”, cosa che secondo Dacrema “non si può dare per scontata” – basta pensare ai profondi cambiamenti di abitudini che il lockdown ha prodotto: per esempio, perché non fare riunioni su Zoom anche dopo, anziché spendere soldi per i business-trip? – “non solo il mercato avrà a disposizione la sua offerta naturale (ovvero la produzione giornaliera normale), ma anche una riserva gigantesca di petrolio accumulato nell’anno precedente”.

È chiaro che questo comporterà comunque una presenza del bene sul mercato molto alta, tendenzialmente ben superiore, rispetto alla domanda. E quella quantità impiegherà tempo per essere smaltita, dunque la previsione è di una stagnazione di prezzi, non negativi ma molto bassi. E “anni di prezzi ai minimi storici sono una ipoteca pesantissima sui grandi progetti di diversificazione economica e rilancio dell’economia. E, a ben guardare, sulla stessa stabilità politica di regimi e governi che pensavamo eterni e inscalfibili”, spiega Dacrema.

Intanto Paul Sankey di Mizuho Bank, che è stato tra i primi a prevedere un crollo sotto zero, ora dice che il barile potrebbe addirittura crollare a -100 dollari il prossimo mese.



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