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Perché Civiltà Cattolica parla (anche) cinese

Nei rapporti tra mondo occidentale e Cina la Chiesa cattolica non è certo parte irrilevante. Così in un momento incandescente come questo l’annuncio che la più importante pubblicazione cattolica legata alla Santa Sede verrà tradotta in cinese è, ancor più nel difficile quadro politico odierno, un fatto di enorme rilievo: politico, religioso e culturale.

Il 7 marzo di quest’anno il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, ha scritto al Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, illustrando il progetto di traduzione in cinese semplificato della rivista che dirige. Un progetto legato al 170esimo anniversario della fondazione della rivista, che si sta sempre più internazionalizzando, tanto che esiste già un’edizione in coreano.

Ma il cinese, lo capisce chiunque, è il cinese. Per il peso enorme della cultura cinese nella storia, ma anche per il valore politico della pubblicazione e quindi si presume della circolazione in Cina della rivista. Il valore culturale lo sottolinea subito il Segretario di Stato vaticano, che accogliendo e apprezzando l’iniziativa scrive a padre Spadaro il 27 marzo, citando il Vangelo: “ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.” Chiaro che l’auspicio del Segretario di Stato è che la pubblicazione possa diventare un “solido strumento di vicendevole arricchimento culturale scientifico tra tutte le persone che cercano bellezza e verità”.

Con giustificata soddisfazione la rivista dei gesuiti scrive nel comunicato ufficiale: “La rivista, italiana prima dell’unità d’Italia, vive da sempre una sintonia peculiare con la Santa Sede e i Pontefici, attuando con pazienza e rispetto il dialogo tra fede cristiana e cultura contemporanea. Ed è stato proprio papa Francesco ad aver dato a La Civiltà Cattolica come modello di riferimento per il suo lavoro culturale un uomo che ha amato la Cina senza riserve: Matteo Ricci
o Lì Mǎdòu, come è conosciuto in Cina (1552-1610).

Questo gesuita – che da Macerata si trasferì in Cina a 30 anni – compose un grande Mappamondo, che servì a creare conoscenze e connessioni tra il popolo cinese e le altre civiltà. In un mondo diviso come il nostro, è immagine ideale dell’armonia di una terra in pace. La rivista vuole dunque essere, a suo modo, un mappamondo.

Nel 1601 Matteo Ricci compose anche un trattato sull’amicizia. Quest’opera costituì un’opportunità, per i mandarini e i letterati della corte dei Ming, per conoscere il pensiero di grandi filosofi d’Occidente; ma per i padri gesuiti e per gli uomini di cultura occidentali fu anche la base per poter dialogare con i grandi intellettuali della Cina. La cultura europea ha imparato tanto da questa grande cultura e dalla saggezza cinese grazie allo studio e alla passione dei gesuiti. Per questo una rivista di gesuiti ha desiderato una sua versione cinese.

L’edizione cinese de La Civiltà Cattolica contribuisce a rendere la nostra rivista sempre più internazionale. Da alcuni anni ormai i suoi scrittori – tutti gesuiti – provengono da varie nazioni e continenti. La rivista dal 2017 esce in 5 lingue: italiano, inglese, francese, spagnolo, coreano. Adesso si aggiunge la versione cinese. In un suo messaggio alla rivista papa Francesco ha scritto che dalle sue pagine “si sentono salire le voci di tante frontiere che si ascoltano”. Lo stesso Pontefice l’ha definita una rivista “unica nel suo genere”.

L’annuncio giunge in un momento delicatissimo e questo non poteva che renderlo un evento. Ed è evidente che c’è anche una scelta strategica e questa scelta è quella di non mollare la presa del dialogo, comunque. La delicatezza infatti delle relazioni tra Cina e Occidente non può che far comprendere come questo passaggio costituisca in sé l’apertura di una linea di comunicazione tra due mondi che rischiano di allontanarsi di nuovo, o maggiormente. I fatti di questi giorni e di questi mesi stanno lì a renderlo evidente.


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