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Papa Francesco e Beppe Grillo. Due idee molto diverse di reddito garantito

La lettera inviata da papa Francesco ai movimenti è un documento di assoluto rilievo per l’idea di comunità che rimanda, e propone un reddito minimo garantito. Di reddito universale ha parlato nuovamente anche Beppe Grillo, che poi ha affermato di concordare con Francesco. Eppure le differenze sembrano palesi. La cosa importante allora è capire quali siano le differenze e quanto siano importanti: questione rilevante o questione di dettaglio? Il modo migliore per farsi un’idea è mettere le due proposte a confronto.

Il “padre” del Movimento 5 Stelle ha formulato questa proposta: “È arrivato il momento di mettere l’uomo al centro e non più il mercato del lavoro. Una società evoluta è quella che permette agli individui di svilupparsi in modo libero, creativo, generando al tempo stesso il proprio sviluppo. Per fare ciò si deve garantire a tutti i cittadini lo stesso livello di partenza: un reddito di base universale, per diritto di nascita, destinato a tutti, dai più poveri ai più ricchi, che vada oltre questa emergenza”.

Francesco, nella recente lettera ai movimenti popolari pubblicata da Avvenire, ha affrontato così l’argomento. La lettera di Francesco si intitola così: “Ai fratelli e alle sorelle dei Movimenti e delle organizzazioni popolari”. A loro il papa ha scritto: “Voi, lavoratori precari, indipendenti, del settore informale o dell’economia popolare, non avete uno stipendio stabile per resistere a questo momento… E la quarantena vi risulta insopportabile. Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti”. Ha commentato Avvenire, il giornale che ha pubblicato anche l’originale, in spagnolo, del papa: “Bergoglio tocca qui un punto cruciale, in parte accennato nel messaggio Urbi et orbi nel ricordare i tanti per cui la quarantena forzata è ‘tempo di preoccupazione per l’avvenire che si presenta incerto, per il lavoro che si rischia di perdere’. Un dramma che accomuna, ancora una volta Nord e Sud del mondo. In quest’ultimo, però, è l’economia informale a far sopravvivere la gran parte della popolazione. Due miliardi di persone, secondo Organizzazione internazionale del lavoro, producono e, dunque, sopravvivono alla giornata, senza garanzie in caso di malattia, infortunio, vecchiaia o sospensione dell’attività per ragioni sanitarie, come nell’attualità”.

Nella lettera del papa poi spicca questa frase, che prendo dall’originale spagnolo: “Espero que los gobiernos comprendan que los paradigmas tecnocráticos (sean estadocéntricos, sean mercadocéntricos) no son suficientes para abordar esta crisis ni los otros grandes problemas de la humanidad. Ahora más que nunca, son las personas, las comunidades, los pueblos quienes deben estar en el centro, unidos para curar, cuidar, compartir”. Provo a tradurre: “Mi auguro che i governi comprendano che i paradigmi tecnocratici (siano statocentrici, siano mercatocentrici) non sono sufficienti ad affrontare questa crisi né gli altri grandi problemi dell’umanità. Ora più che mai sono le persone, le comunità, i popoli che devono essere al centro, uniti per curare, prestare attenzione, condividere”.

Credo che le differenze siano chiare. In Francesco non vedo traccia di stato assistenziale e neppure di liberismo “compatibile”. Vedo piuttosto il lavoro precario o informale, quelle alternative prodotte dal “fiuto dei popoli”, dalle creatività delle associazioni, delle persone, dei volontari. Sono i cartoneros dei vecchi tempi di Buenos Aires, gli ambulanti che sopperiscono a un sistema di dettaglio ingiusto, i nuovi artigiani che rendono viva la città locale e tanti altri: insomma sono le tante forme di lavoro non riconosciuto o pienamente riconosciuto, o addirittura negato, è la creatività dei movimenti e dei singoli al centro di questo discorso. Ma soprattutto è un senso di comunità quello che il papa chiede di riconoscere per uscire dalla crisi. Sovvertendo la metafora bellica – il famoso “siamo in guerra” cui tanti fanno ricorso – Francesco scrive di vedere e riconoscere “un esercito che non ha altre armi se non la solidarietà, la speranza e il senso di comunità che rifioriscono in questi giorni in cui nessuno si salva da solo”.

Ha scritto sempre Avvenire che Francesco propone di immaginare insieme uno verso sviluppo umano integrale, fondato “sul protagonismo dei popoli in tutta la loro diversità, e sull’accesso universale a quelle tre T per cui lottate: “Tierra, techo y trabajo” (terra – compresi i suoi frutti, cioè il cibo –, casa e lavoro)”. In questo senso, come sottolinea lo storico Gianni La Bella in “Terra, casa e lavoro” (Ponte delle Grazie), “il Pontefice aggiorna e approfondisce l’opzione preferenziale per i poveri, affermando che questa non implica solo solidarizzare con loro, ma riconoscerli come soggetto sociale e politico, promuovendo la loro partecipazione attiva in tutti gli ambiti, accompagnandoli sempre, partendo dalla loro stessa realtà e mai da schemi ideologici astratti”.

Ecco, per ragionare sulle due proposte è proprio questo riconoscimento dei soggetti sociali che deve richiamare l’attenzione. Non è tanto il numero dei destinatari della proposta (tutti? Ok non tutti, ma quanti?) il punto importante su cui coloro che condividono la proposta di Beppe Grillo e coloro che condividono quella di Francesco devono ancora confrontarsi: il punto è l’idea di comunità. Si pensa a una mano che dall’alto viene a darci qualcosa per poi giocare ognuno la sua partita, o si pensa a costruire insieme una solidarietà nuova, socialmente attiva, capace di aiutarci a salvarci insieme?


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