Sono successe cose negli ultimi giorni, cose che non mancheranno di avere effetti importanti nei mesi a seguire. Si tratta di fatti concreti ed istituzionalmente tracciabili che vanno associati ad atti politici ben evidenti ed opinioni forti venute alla ribalta.
Il tutto per comporre un quadro che induce ad un primo punto di “ancoraggio” ormai consolidato: finita l’emergenza sanitaria bisognerà affrontare il dopo con assetti di governo (da intendersi in senso largo, anche oltre la pur rilevante composizione dell’esecutivo) della nazione in grado di reggere la sfida, assetti che avranno al Quirinale l’unico vero punto di riferimento nonché decisore finale.
Deve essere chiaro però un punto.
Qui non si tratta (soltanto) di cogliere un passaggio di potere reale da Palazzo Chigi al colle più alto (fenomeno già avvenuto sulle nomine più importanti di questa settimana così come per l’arrivo di Vittorio Colao), si tratta di prendersi carico della situazione in termini più vasti, si tratta cioè di interpretare il ruolo di “guida”, mai tanto necessario come in tempi di crisi drammatica.
Per capire fino in fondo cosa è successo occorrono però degli esempi, che sono in verità assai numerosi. Ne scegliamo due, decisamente tra i più significativi.
Il primo ci arriva da Pier Ferdinando Casini, termometro sensibilissimo del sistema. Oggi intervistato dal Quotidiano Nazionale dice testualmente: “Nei prossimi mesi lo scenario rischia di peggiorare e temo che questo governo non ce la faccia. Tutti saranno chiamati all’assunzione di responsabilità, a partire dall’opposizione”.
Il secondo esempio sono le parole di Enrico Mentana di critica esplicita al discorso del premier Conte nell’ultima diretta TV, parole che il direttore del tg de La7 ha scelto con cura e che ha ribadito anche in un secondo intervento televisivo, successivo alla piccata nota stampa uscita da Palazzo Chigi.
Ebbene quello che conta non è soltanto il merito delle parole di Casini e Mentana (che pure non è poca cosa), ma ciò che importa ancor di più è osservare che hanno deciso di prendere posizione in quel modo, segno eloquente di un cambio di passo a tutti i livelli. Insomma quello che è ormai abbastanza chiaro a tutti (o quasi) è che si dovrà fare qualcosa di importante e che questo qualcosa non potrà che avere nel Presidente Mattarella il vero protagonista delle decisioni.
Qui però inizia la parte più difficile, perché ci addentriamo in quello che si può tranquillamente definire il “dilemma del Presidente”. Egli ha sì un potente alleato dalla sua parte, vale a dire il poderoso indebolimento del fronte politico anti-sistema, impersonato fino al 2018 da Beppe Grillo.
Il M5S a sostanziale trazione Di Maio infatti è un partito di governo a tutti gli effetti, tanto è vero che può passare senza batter ciglio dalla maggioranza con Salvini a quella con Renzi e il Pd.
Però è anche vero che l’esecutivo “tutti dentro” non è così semplice da costruire, perché troverebbe resistenze un po’ da tutte le parti (ad esempio da parte della Meloni, con conseguente irrigidimento di Salvini. E questo vale anche per la sinistra, che tutta questa voglia di governare con la Lega non la trova facilmente).
Al Quirinale quindi si procede con doppio binario.
Il primo è quello più innovativo ed “interventista”, che ha avuto nel messaggio video pasquale la propria apoteosi (con voluto, studiato, palese e fragoroso contrasto di stile e argomenti rispetto alla precedente intemerata televisiva del premier). Il secondo è quello della “moral suasion”, applicata con vigore nell’ottenere l’accantonamento di ogni ipotesi di rinvio per le nomine nelle più importanti aziende di Stato.
Dal Colle però arriva anche un messaggio, in perfetto stile con l’inquilino (che è siciliano, nessuno lo dimentichi): cioè “calma e gesso”. La situazione subirà un’accelerazione (che arriverà, certo che arriverà) quando le pedine da sistemare avranno trovato posto.
Non è questo il tempo di azzardi, che peraltro non sono mai stati la specialità di Sergio Mattarella.