Sta iniziando la “Fase due”, per noi cittadini molto simile alla “Fase uno”, ma sta emergendo un preoccupante contrasto politico. Non solo fra maggioranza e opposizione, ma anche a livello territoriale.
I toni del presidente del Consiglio in conferenza stampa fanno capire che siamo ben lontani da una idea di governo di unità nazionale. Le vivaci polemiche fra Stato e regioni preoccupano: le ordinanze di Piemonte e Lombardia per non riaprire alcuni negozi, quelle di Veneto e Liguria sulla riapertura delle aziende e su maggiore circolazione dei cittadini ci fanno capire che la linea del governo non sta tenendo e che manca ogni unità nazionale di indirizzo. Questo è allarmante, in un quadro già confuso e disomogeneo.
Lo leggiamo anche nel parere del consiglio di Stato che ha annullato l’ordinanza del sindaco di Messina sull’obbligo di registrazione per attraversare lo Stretto: “In presenza di emergenze di carattere nazionale, pur nel rispetto delle autonomie costituzionalmente tutelate, vi deve essere una gestione unitaria della crisi per evitare che interventi regionali o locali possano vanificare la strategia complessiva di gestione dell’emergenza”.
Ecco il punto. Tra migliaia di Dpcm, ordinanze, autocertificazioni, moduli e polemiche non abbiamo ancora preso la consapevolezza che il momento è gravissimo e servirà unità per superare la crisi economica e sociale che seguirà quella sanitaria.
Va fatto un grande sforzo comune. Come alla fine della Seconda guerra mondiale. Quando Togliatti appena tornato in Italia, mentre il Vesuvio era in eruzione, trovò assieme a De Nicola il compromesso tra partiti antifascisti, monarchia e Badoglio. Così nacquero i governi di unità nazionale (Badoglio II, Bonomi, De Gasperi), per prendere insieme decisioni importanti (la luogotenenza del Re, il referendum istituzionale, la amnistia per i reati fascisti firmata dallo stesso Togliatti), e far ripartire l’Italia, prima di tornare a litigare come Peppone e Don Camillo.