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Ue, Lombardia e Veneto. Tutti i dubbi di Pennisi sulla sanità

In questa assolata Pasqua 2020 in cui siamo tutti in forme diverse di “arresti domiciliari” per evitare un virus con cui siamo costretti a convivere (e lo saremo purtroppo parecchio a lungo, anche se i modi di “detenzione” poco a poco varieranno), non solo è doveroso pensare a tutti coloro che stanno combattendo in prima linea, rischiando la propria vita e mettendo a repentaglio anche quella dei propri familiari e vicini, ma occorre porsi domande di politica sanitaria che vengono in mente anche a coloro che, come il vostro chroniqueur, non è esperto di sanità.

La prima riguarda l’Unione europea. Perché l’Ue, che si sta arrabattando per cercare di definire interventi finanziari a favore dei Paesi più deboli e più toccati dalla pandemia, non ha attivato gli strumenti che già ha? Ad esempio, lo European Center for Disease Control and Prevention (Ecdcp), che ha 300 dipendenti e sarebbe potuto diventare un vero centro non solo per scambi di dati tecnico-scientifici in materia sanitaria ma anche per promuovere e coordinare le ricerche per un vaccino. Pochi conoscono le Ecdcp ed è quanto meno curioso che proposte per una sua maggiore e migliore utilizzazione si leggano sulla stampa americana, ad esempio sul New York Times, e non sembra siano venute in mente ai litigiosi ministri dell’Ue od alla stessa Commissione europea. Inoltre, un anno fa è stato creato lo ResEU, per dare una risposta europea alle crisi. Non è dato sapere se svolge un ruolo in questa gravissima crisi. Infine, non si vuole certo aggiungere nuove competenze all’Ue e la politica sanitaria deve restare materia degli Stati (che ne delegano molte funzioni ad istituzioni più vicine ai cittadini), ma è legittimo chiedersi perché gli strumenti esistenti non vengano impiegati o se lo sono ciò venga fatto quasi in segreto. È anche lecito domandarsi perché l’Ue non utilizzi la sua vera potenza di fuoco: essere un’Unione di 450 milioni di abitanti. Alcuni acquisti e commesse di materiale sanitario potrebbero essere fatti centralizzati sul mercato mondiale ottenendo le condizioni migliori e senza che Cina e Russia intervengano in alcuni Paese Ue con finti doni che celano la chiara ed evidente intenzioni di accentuare fratture e divisioni nell’Unione.

La seconda riguarda alcuni suggerimenti manifestati in Italia di una riforma costituzionale per riportare alla Pubblica amministrazione centrale le competenze per la sanità. A me pare che sarebbe un grave errore proprio perché la politica e l’amministrazione sanitaria deve essere il più vicino possibile ai cittadini.

A riguardo è utile raffrontare la pandemia, e la risposta dei servizi sanitari di due Regioni: la Lombardia ed il Veneto. Non voglio e non ho le capacità professionali per giudicare della qualità dei due sistemi sanitari ed una volta che sono stato ricoverato a Milano ho apprezzato l’eccellenza dell’ospedale.

Tuttavia, la differente letalità del virus nelle due Regioni fa sorgere interrogativi. In effetti, Lombardia e Veneto hanno offerte sanitarie diverse. In Lombardia, il nerbo sono grandi ospedali (il 40% privati). In Veneto, strutture disseminate sul territorio (il 16% private) ed associazioni di medici di base. In questa Pasqua, sarebbe utile che coloro meglio attrezzati di me riflettano sull’urgenza di una seria analisi.



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