Skip to main content

Il post Covid-19 e la responsabilità dei medici. Parla il prof. Del Prato

In un momento di emergenza come questo più di 150 tra scienziati e accademici hanno consigliato al governo delle misure importanti. È da una settimana, poi, che sono stati presentati da più parti politiche vari emendamenti al Decreto Cura Italia. Emendamenti che prevedono limitazioni di responsabilità a favore della classe medica ma precedentemente estese anche ai titolari di organi di indirizzo e di gestione dell’emergenza. Di questo ed altro Formiche.net ha parlato con il prof. avv. Enrico Del Prato, ordinario di Diritto Civile dell’Università La Sapienza di Roma.

Professore, Lei è tra i firmatari dell’Appello Valditara sostenuto da 150 scienziati e accademici. Contiene un piano organizzativo per la Fase 2, sulla base del modello Corea del Sud, finalizzato a far ripartire l’Italia, tutelando i cittadini. Può descriverci cosa avete previsto?

Si tratta di una iniziativa spontanea promossa dal collega Valditara che ha raccolto professori universitari e scienziati appartenenti a diverse aree, fisici, ingegneri, medici, giuristi, economisti, e ha dato luogo ad un confronto costruttivo. Costruttivo perché le iniziative governative stanno andando nel senso da noi auspicato. L’obiettivo è pensare tempestivamente alla ripartenza, la fase 2, a seguito del contenimento del Virus. Una ripartenza che preveda la convivenza con il Covid-19. I punti dell’appello riguardano la ripresa delle attività con la messa in sicurezza dei lavoratori attraverso prescrizioni sia sul luogo di lavoro che fuori, e prima ancora con l’adozione di misure non solo preventive ma anche precauzionali. In questo senso, l’esperienza della Corea del Sud si è rivelata molto proficua. L’impiego di strumenti di intelligenza artificiale in funzione preventiva con l’isolamento delle persone positive, il loro tracciamento attraverso la geolocalizzazione sono estremamente preziosi, anche perché non si sa ancora per quanto tempo una persona può risultare contagiosa nonostante il tampone negativo.

L’utilizzo dell’intelligenza artificiale può incidere anche negativamente sulle nostre vite?

L’utilizzo di queste tecnologie porterà a deroghe eccezionali alla tutela della privacy, ma è inevitabile. Occorre un bilanciamento tra i diritti fondamentali, e la privacy è recessiva dinanzi alla tutela della salute sia individuale che collettiva. Sicuramente più elementare ma utile è anche l’utilizzo obbligatorio delle mascherine nei luoghi pubblici, già previsto in alcune regioni, con forme di isolamento e monitoraggio con una adeguata quarantena per coloro che siano stati positivi. Si è previsto nell’appello un graduale ritorno alla normalità attraverso una fase di sperimentazione da iniziare prima nelle regioni colpite meno dal contagio. In sintesi non bisogna inciampare nel virus, ma farlo scivolare via.

A parte le misure da prendere in considerazione per contenere quanto più possibile il virus, su cosa il governo dovrebbe lavorare per traghettarci verso la ripartenza di un nuovo inizio?

Ogni problema può e deve essere trasformato in una occasione. Oltre ai punti indicati nell’appello ci sono altri aspetti da prendere in considerazione. Per tanti decenni, fortunatamente, non abbiamo avuto guerre: ma queste, dopo le catastrofi, sono state in grado di generare rinascite. Dobbiamo quindi pensare ad una rinascita a livello non solo nazionale ma mondiale. E, guardando a casa nostra, la prima cosa da immaginare è un’autentica semplificazione per riavviare il Paese. Spero vivamente che cessi l’era delle procedure, in cui il nostro sistema è impantanato, e si mettano a fuoco i contenuti, l’impegno, l’estro, la formidabile intelligenza del nostro popolo. Lascia ben sperare l’annuncio trionfalistico del governo circa l’erogazione di 400 miliardi di euro. Sarebbe auspicabile che una parte fosse a fondo perduto e fosse previsto un termine molto lungo per la restituzione del resto. Ma la mera erogazione può rivelarsi non proficua se è non sostenuta dalla consapevolezza e dal rigore di chi ne beneficia. Anche qui snellire molte procedure è la priorità.

A livello pratico quale procedura dovrebbe essere oggetto di una rivisitazione?

Ad esempio l’attuale legislazione sugli appalti causa ritardi allo sviluppo del sistema economico; il costante timore di qualche responsabilità per danno erariale o, peggio ancora, penale per la presunta violazione di discipline minuziose e complesse costituisce un freno alle decisioni; genera una burocrazia paralizzante. Non è affatto detto che l’idea di contrastare la corruzione attraverso complesse procedure preventive ne eluda il rischio.  Può alimentare anticorpi in chi ne è avvezzo diventando una cura peggiore del male. È necessario punire, sì, con rigore, ma non vivere costantemente nella proceduralizzazione per il rischio di corruzione. L’emergenza, come spesso è accaduto, può essere l’occasione per superare l’era delle procedure e pensare, come dicevo, ai contenuti. Un’altra misura che confido attecchisca diffusamente dopo la crisi è il telelavoro come regola là dove sia concretamente utile e praticabile.

Sono stati discussi, in questi giorni, diversi emendamenti al Decreto Cura Italia di cui uno vedeva il parere favorevole del ministro Bonafede sulla responsabilità medica legata all’emergenza da Covid-19. La norma prevedeva una limitazione di responsabilità per gli esercenti la professione sanitaria sia sul piano civile che su quello penale. Inizialmente tra l’altro era stato presentato anche un emendamento, poi ritirato, che allargava la limitazione di responsabilità anche ai titolari di organi di indirizzo e di gestione dell’emergenza nei confronti del personale sanitario. Che ne pensa?

Ciò vorrebbe dire che chi gestisce l’emergenza adottando le decisioni apicali non risponderebbe nei confronti del personale sanitario. Penso, invece, che quanti assumono il ruolo di indirizzo devono avere una responsabilità più marcata, perché le scelte che fanno vengono eseguite da chi sta sul campo. Quindi, che l’emendamento su questo aspetto sia stato ritirato è decisamente opportuno. La tutela della salute non opera solo nei confronti dei pazienti ma anche di chi lavora nella struttura ospedaliera. L’art. 32 della Costituzione dice l’ovvio: la tutela della salute, e dunque della vita, è centrale nella dimensione giuridica, perché la persona umana è l’unico a priori del diritto. È una tutela -come tutte le tutele giuridiche- che vale per tutti e non tollera discriminazioni. Una normativa che esonerasse da responsabilità i gestori delle strutture sanitarie dei confronti del personale medico e paramedico sarebbe incostituzionale. La tutela della salute non si realizza solo mediante l’adozione delle misure previste dalla legge nei luoghi di lavoro, ma anche attraverso sanzioni e responsabilità omogenee, che, tra l’altro, svolgono una funzione preventiva.

È d’accordo con le limitazioni di responsabilità per i medici?

La limitazione della responsabilità sanitaria è corretta, perché va commisurata alle circostanze attuali. Ma possiamo andare oltre, e gli stessi dati normativi esistenti lo confermano. La responsabilità, in questo come in campi simili, va sempre considerata allo stato delle conoscenze. C’è una norma generale, dal 1942, secondo cui, dinanzi a problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non nei casi di dolo e colpa grave. Che ora ci troviamo dinanzi a problemi tecnici di speciale difficoltà mi sembra incontestabile. Ritengo, quindi, che la disciplina emergenziale sia ricognitiva dell’esistente e non rappresenti una deroga, una sorta di immunità. È l’esplicitazione di una regola che si giustifica con le circostanze del caso concreto. Questa iniziativa che calibra la responsabilità nell’emergenza promuove, nel grande disagio, serenità negli operatori, ma ha più un valore simbolico che sostanziale perché si potrebbe arrivare allo stesso risultato attraverso l’applicazione dei già ricordati principi generali.

La limitazione di responsabilità per gli operatori sanitari è giustificata dall’incertezza in cui versano i medici? Ma già il nostro ordinamento inquadra la prestazione del medico come una obbligazione di mezzo e non di risultato…

I medici stanno affrontando un Virus sconosciuto. Capirne le cure e la migliore gestione è un lavoro in corso. Per la infungibile specificità e complessità del contenuto della prestazione, la responsabilità sanitaria ha offerto un formidabile “laboratorio di analisi” al giurista.  Una palestra particolarmente feconda in tutte le questioni in tema di responsabilità civile e inadempimento delle obbligazioni, dallo scopo della prestazione, la diagnosi e la cura, alla complessità della sua esecuzione, che spesso coinvolge una equipe ed un insieme di attrezzature. Per non dire, poi, delle questioni legate alla colpa omissiva, alla causalità e alla valutazione delle concause. Il contenuto giuridico di questa prestazione ricorda la tradizionale distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato. Dunque, il punto non è valutare ex post il risultato ottenuto, ma apprezzare e valutare la diligenza attraverso lo sforzo compiuto dal medico per ottenere un risultato senza che lo stesso possa essere dato per scontato. Questa dinamica già fa parte del nostro ordinamento.

Al di là della situazione di emergenza, pensa che la responsabilità medica sia disciplinata in maniera corretta? Ora i medici vengono definiti eroi ma spesso sono sotto accusa proprio per i rischi legati alla professione che ha portato in passato anche all’aumento della medicina cosiddetta difensiva. Che ne pensa?

Ne stiamo parlando all’interno del gruppo “Lettera 150”. Nella prospettiva di una stabilizzazione della responsabilità sanitaria, la responsabilità penale dovrebbe avere un ambito applicativo minimo mentre alla responsabilità civile dovrebbe essere affidato il ruolo principale. E ciò a vantaggio di chi si ritenga danneggiato, perché in ambito civile la responsabilità si configura quando, una volta provata la violazione dei doveri incombenti sul sanitario, è superiore al 50% la possibilità che essa sia stata causa del danno.  Nel giudizio penale, invece, l’accertamento deve essere sensibilmente più puntuale, al di là di ogni ragionevole dubbio.

Cosa spera si modifichi nella disciplina della responsabilità medica?

Auspico la riduzione del penale a vantaggio del rimedio civilistico. Altra cosa che modificherei è il riferimento testuale nell’art. 7 della legge Gelli alla responsabilità extracontrattuale del singolo medico che non ha concluso un contratto con il paziente.  Va, piuttosto, concepita una formulazione che, per le peculiarità che ho detto, induca il superamento della distinzione tra responsabilità da inadempimento e responsabilità extracontrattuale con particolare riferimento all’onere della prova.

Altri aspetti da migliorare?

La materia è stata innovata nel 2017 con la Legge Gelli Bianco, che va collegata alla Legge sul consenso informato, la n. 219/2017, la quale accentua la relazione di cura e la grande umanità della professione medica. Rende infatti prestazione medica anche quella parte riguardante l’informazione e il sostegno esistenziale che il medico dà al paziente.

Al di là della formulazione di alcune norme, le linee di fondo sono abbastanza corrette. Però ci sono alcuni aspetti da migliorare specialmente nella Gelli Bianco. Ad esempio delimiterei meglio l’esclusione di responsabilità penale nei confronti del medico nel caso di imperizia là dove egli abbia messo in pratica le linee guida o, in mancanza, le buone pratiche clinico-assistenziali (art. 6). È una previsione che lascia spazio a molteplici valutazioni per la pluralità di linee guida esistenti. Anche qui, dunque, è necessario un bilanciamento non agevolmente adattabile alla rigorosa tipicità della fattispecie penale. Mi disse un grande medico scomparso che ciascun paziente è un pezzo unico. E questo il giurista avveduto lo sa.

 

 


×

Iscriviti alla newsletter