Il virus degli altri, il virus che potrebbe determinare quegli esiti catastrofici di cui ha parlato pochi giorni fa papa Francesco, si nasconde in tanti scenari poco indagati e osservati. Uno di questi, tra i più inquietanti e devastanti, potrebbe certamente essere quello siriano. “La possibile emergenza siriana, che avrebbe caratteristiche non dissimili da quella di altri Paesi sconvolti da lunghissimi conflitti, sarebbe di eccezionale gravità per un dato drammatico e noto: la distruzione di circa la metà delle strutture sanitarie e la mancanza di personale medico, avendo moltissimi medici lasciato il paese; e adesso essi sono impossibilitati a rientrare in patria”.
È questo uno dei passaggi più importanti dell’articolo che il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, dedica alla Siria e il coronavirus sul nuovo numero della sua rivista. Che il direttore della pubblicazione dei gesuiti i cui testi vengono preventivamente letti dalla Segreteria di Stato vaticana abbia deciso di scrivere sulla Siria in un numero dedicato in larga parte alla pandemia indica probabilmente il peso e la preoccupazione con cui si vive e si segue lo sviluppo di una problematica opaca, come tutte le problematiche siriane, opacizzate dall’impenetrabilità del Paese della dinastia degli Assad. Impenetrabilità che però fa trasparire le due grandi preoccupazione che padre Spadaro fa chiaramente intendere: le carceri e la possibile diffusione del virus ad Idlib dove i combattimenti proseguono e gli sfollati aumentano: dopo mesi vissuti all’addiaccio quanto saranno alte le difese immunitarie di quei milioni di esseri umani intrappolati tra l’offensiva di Assad, e dei russi, e il muro impenetrabile eretto dai turchi?
Nei vicini territori curdi, nel nord est della Siria, si è arrivati a coinvolgere nelle azioni belliche un acquedotto, che chiaramente giunge dalla Turchia, unica fonte di vita per centinaia di migliaia di profughi. “Per il rappresentante dell’Unicef in Siria, Fran Equiza, un’azione militare ha messo fuori uso la stazione idrica di Allouk, nel nord-est curdo del Paese, con enormi conseguenze sanitarie”.
L’altra emergenza sulla quale si sofferma l’articolo del direttore de La Civiltà Cattolica è come accennato quella che si delinea chiaramente nelle carceri siriane. “Quando papa Francesco inviò il card. Turkson a Damasco con la sua lettera al presidente Bashar al-Assad, il segretario di Stato Vaticano, card. Pietro Parolin, proprio al riguardo delle carceri disse, in un’intervista apparsa su L’Osservatore Romano: ‘A Papa Francesco sta particolarmente a cuore anche la situazione dei prigionieri politici, ai quali – egli afferma – non si possono negare condizioni di umanità. Nel marzo 2018 l’Independent International Commission of Inquiry on the Syrian Arab Republic ha pubblicato una relazione a questo proposito, parlando di decine di migliaia di persone detenute arbitrariamente. A volte in carceri non ufficiali e in luoghi sconosciuti, essi subirebbero diverse forme di tortura senza avere alcuna assistenza legale né contatto con le loro famiglie. La relazione rileva che molti di essi purtroppo muoiono in carcere, mentre altri vengono sommariamente giustiziati'”.
Ecco che una notizia divulgata ufficialmente dai media siriani allarma il gesuita. “Tra le misure annunciate da Damasco, hanno rilievo i corsi di addestramento alla sepoltura nel rispetto del rito islamico. In un Paese dove la guerra ha causato la morte violenta, in nove anni, di oltre 400.000 persone (il conteggio ufficiale delle vittime è fermo da molto tempo), i sistemi di sepoltura non possono essere poco conosciuti. Il timore che questa decisione possa, dunque, implicare una situazione che si prospetta allarmante non è infondato”.
Se si tiene conto che alcune fonti clandestine e smentite dal regime parlano di centinaia di morti già verificatisi nelle carceri siriane dove sarebbe impossibile separare i malati dai sani e se si tiene di conto di questa sottolineatura di Civiltà Cattolica, “la nuova amnistia siriana ridurrà il sovraffollamento carcerario? Quella dello scorso anno liberò 204 detenuti su 190.000” si può arrivare a formularsi un interrogativo angoscioso: cosa succederà ai detenuti, come si garantirà la loro cura, o non c’è il rischio di sepolture in fosse comuni?
Ricordati i numerosi interventi di papa Francesco, fino all’ultimo appello per gli sfollati di Idlib dell’8 marzo scorso, padre Spadaro scrive: “Il giorno dopo i vescovi cattolici e luterani dei Paesi scandinavi hanno firmato insieme una dichiarazione, nella quale la crisi legata al virus e quella del nord della Siria sono definite situazioni che ci sfidano come persone e membri della razza umana. Gli oneri devono essere condivisi e sostenuti congiuntamente. Se falliamo, perdiamo la nostra umanità'”.
La conclusione dell’articolo fa chiaramente appello alla comunità internazionale: “Il responsabile dell’Oms in Siria, Nima Saeed Abid, ha dichiarato all’Agenzia Reuters che ‘esiste una popolazione vulnerabile nei campi profughi, nelle periferie urbane, nelle baraccopoli. Se prendiamo in considerazione gli scenari cinese o iraniano ci aspettiamo di avere un gran numero di casi e ci stiamo preparando di conseguenza’. Il tempo si è fatto breve”. Più chiaro di così…