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È Nato un feeling con Di Maio. La telefonata con Stoltenberg

La Nato in campo contro il virus, soprattutto con assistenza logistica e come foro di coordinamento tra gli alleati. È quanto emerge dalla telefonata di ieri sera tra il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, in vista della riunione della prossima settimana tra i capi delle diplomazie dei trenta alleati. In ogni caso, se considerato con la concomitante call tra Lorenzo Guerini e il capo del Pentagono Mark Esper, il colloquio telefonico sembra tracciare un percorso decisamente più tradizionale (euro-atlantico) nell’affrontare l’emergenza rispetto ai tentennamenti verso Cina e Russia che la “geopolitica degli aiuti” aveva prodotto sul nostro Paese. Tema, quest’ultimo, al centro della telefonata della scorsa settimana tra il capo della Farnesina e il segretario di Stato Usa Mike Pompeo.

LA TASK FORCE PER RIPENSARE LA NATO

In questi giorni, Stoltenberg è impegnato in un giro di consultazioni telefoniche in vista della vertice, la prossima settimana, che riunirà i ministri degli Esteri della Nato, rigorosamente in videoconferenza. In preparazione dei lavori, a quanto apprende Formiche.net, una parte del colloquio con Di Maio è stata dedicata alla task force che si occuperà della “riflessione strategica” della Nato. Al vertice di Londra tra i capi di  Stato e di governo dello scorso dicembre, infatti, i Paesi membri hanno dato mandato al segretario generale di formare un gruppo di esperti (ogni Paese ne nominerà uno) per ripensare l’azione collettiva e rinnovare l’Alleanza. È il modo con cui la Nato ha assorbito con resilienza le critiche sollevate da Emmanuel Marcon sulla “morte cerebrale” dell’Alleanza, oltre al rischio di strappo con la Turchia sul tema S-400 e le rimostranze americane sul burden sharing.

LA RIUNIONE A BRUXELLES

Certo, l’emergenza Covid-19 la fa al momento da padrone, anche in ambito Nato. Già lo scorso 18 marzo, Stoltenberg aveva riunito a Bruxelles i rappresentanti permanenti dei Paesi membri per una riunione “regolare” del Consiglio del nord Atlantico al quartier generale (evitando strette di mano e mantenendo le distanza di sicurezza). Oltre l’adesione della Macedonia del nord il giorno precedente (arrivata dopo la ratifica del Parlamento spagnolo), la riunione era stata tutta dedicata all’emergenza Covid-19. Serviva allora dare un messaggio di unità e di vicinanza agli alleati più colpiti (Italia in primis), ma anche un segnale di prontezza e operatività dell’Alleanza, elemento essenziale per un’organizzazione militare, oltre che politica.

LA NATO PER L’EMERGENZA

Quella riunione è servita però anche per risvegliare la Nato sul suo ruolo in situazioni di emergenza sanitaria, poco abituale e sicuramente marginale rispetto alla difesa collettiva, ma sicuramente importante. All’Alleanza i Paesi chiedono soprattutto assistenza logistica nel trasferimento delle attrezzature fornite dai membri. Ma la Nato è soprattutto un foro ben rodato di confronto, dialogo e coordinamento, in linea con l’articolo 4 del trattato del nord Atlantico che impone alle parti di consultarsi qualora la sicurezza di un membro sia minacciata. Non è un caso che nei giorni successivi alla riunione a Bruxelles la Spagna abbia chiesto aiuto all’Alleanza, e che lo stesso abbia fatto l’Italia pochi giorni fa con il ministro Lorenzo Guerini. Non è nemmeno un caso che gli otto camion di attrezzature sanitarie donate alla Lombardia dallo US Army avessero la targhetta “Nato” sul parabrezza. L’Alleanza, insomma, è pronta a fare di più e novità si attendono la prossima settimana dalla ministeriale in video conferenza. Di Maio ha sollecitato per questo il segretario generale.

LA MISSIONE IN IRAQ

Poi, spazio alle missioni, Iraq, Kosovo e Afghanistan in testa, lì dove l’impegno italiano è più consistente nell’ambito della Nato. Per quanto riguarda l’Iraq, già la ministeriale Difesa di metà febbraio (prima che il virus sconvolgesse le agende politiche del mondo) aveva dato il via libera al trasferimento delle competenze della Coalizione internazionale anti-Isis alla missione Nato, così da abbassare il profilo della presenza degli Stati Uniti, divenuta sovraesposta dopo l’uccisione del leader iraniano Qassem Soleimani (con tanto di risoluzione del Parlamento iracheno di invito al governo per fa uscire gli americani dal territorio). Poi, il Covid-19 ha congelato tutto. Restano certo le esigenze di sicurezza e anti-terrorismo, ma da qualche giorno gli sforzi addestrativi in favore delle forze irachene e curde sono sospesi, tanto che anche l’Italia ha pianificato il rientro di 200 unità (ne resteranno 600).

LA SITUAZIONE IN AFGHANISTAN

Per quanto riguarda l’Afghanistan, tutti gli occhi sono puntati sulla tenuta dell’accordo raggiunto a fine febbraio da Stati Uniti e talebani. Le fragilità sono evidenti, ma tutti sperano che possa davvero essere il primo passo per la fine di una guerra troppo lunga. Da non sottovalutare, notano gli esperti, la possibilità di recrudescenza dell’azione dell’Isis nel Paese, e comunque c’è incertezza sul dialogo nel breve termine tra il governo legittimo di Kabul e i talebani dopo due decenni di conflitti sanguinosi. La Nato guarda tutto con attenzione, essendo responsabile della missione Resolute Support in cui si inserisce anche la presenza di circa 800 militari italiani nella provincia di Herat. La linea sul ritiro resta la stessa: “In together, out together”.



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