Nella lotta a covid-19 l’Italia ha scelto di seguire, ancorché con qualche ritardo, la via cinese dell’isolamento di massa.
Le misure di contenimento sociale stanno dando i primi effetti anche se dovranno essere proseguite ancora per alcune settimane perché si consolidi il risultato ottenuto.
È peraltro di tutta evidenza che non si può tenere troppo a lungo un Paese agli “arresti domiciliari”, non solo perché le conseguenze sull’economia sarebbero catastrofiche e alla fine peggiori, proprio sulla salute pubblica, delle conseguenze del virus, ma anche perché il disagio psicologico di milioni di italiani rischierebbe di avere conseguenze non marginali.
È dunque indispensabile che le misure siano applicate con rigorosa fermezza pensando nel contempo, fin da subito, ad una fase due.
In questo senso è certamente esemplare la strategia adottata da Paesi come Cina, Corea del Sud, Taiwan, e Polonia che sono ricorsi, efficacemente, all’utilizzo massiccio della intelligenza artificiale e in particolare al tracciamento tramite tecnologia GPS dei soggetti risultati positivi. Questa strategia, come ha chiarito esemplarmente il prof. Andrea Crisanti in una bella intervista su Italia Oggi del 20 marzo scorso, presuppone chiaramente, per poter funzionare, l’utilizzo di massa dei tamponi o comunque di pratiche volte a individuare entro categorie ampie di popolazione la positività al virus. Nella direzione dei tamponi di massa si è già mossa la regione Veneto.
Il tracciamento di persone ha ovviamente una efficacia tanto maggiore se viene imposta a tutti coloro che risultino positivi. In questo particolare caso si è da taluni obiettato che vi sarebbe il limite invalicabile del diritto alla privacy.
La questione non è banale anche perché si tratta dell’utilizzo nuovo di strumenti tecnologici che se promettono di debellare definitivamente il virus, potrebbero, qualora non utilizzati nel rispetto dei principi dell’ordinamento, produrre una illegittima compressione di diritti individuali costituzionalmente garantiti.
La democrazia italiana, dunque, si trova ad affrontare una emergenza inedita e drammatica, in cui inevitabilmente entrano in gioco la tutela di principi e valori diversi: da un lato, si trovano la vita e la salute, non solo come beni della collettività, ma come esigenza di protezione di tutti, soprattutto dei più deboli (anziani, disabili, malati ecc.); dall’altro vi è l’esigenza di non far venire meno alcuni capisaldi del costituzionalismo, come la garanzia della protezione dei dati personali.
In uno studio che ho pubblicato insieme ad alcuni colleghi giuristi sulla rivista Federalismi emergono alcune considerazioni a mio avviso decisive.
In primo luogo occorre chiarire la legittimità di tale tracciamento. Ciò implica porre sul terreno giuridico la questione del bilanciamento tra tutela della vita e della salute pubblica e individuale e tutela dei principi del costituzionalismo e di alcuni diritti di libertà.
Il punto di riferimento decisivo per comprendere come debba essere effettuato tale bilanciamento si deve rinvenire nella giurisprudenza della nostra Corte costituzionale che a più riprese ha individuato il bene della vita come bene supremo.
Così nella sentenza n. 223 del 1996 in cui la Corte, dichiarando l’illegittimità costituzionale della normativa che non vietava in maniera assoluta l’estradizione dall’Italia verso Paesi che applicano la pena di morte, ha affermato che il divieto di tale pena, sancito dall’art. 27 Cost., rappresenta la “proiezione della garanzia accordata al bene fondamentale della vita, che è il primo dei diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti dall’art. 2” Cost.
Così, ancora, nella sentenza n. 35 del 1997 si afferma che, in forza dell’art. 2 Cost., il diritto alla vita, inteso nella sua estensione più lata, è da iscriversi “tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata, in quanto appartengono – per usare l’espressione della sentenza n. 1146 del 1988 – «all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana»”, che “non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali”.
Nell’ordinanza n. 207 del 2018, poi la Corte ribadisce che il diritto alla vita è “il “primo dei diritti inviolabili dell’uomo”, in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri”. Infine nella sentenza n. 242 del 2019 si parla del “diritto alla vita, riconosciuto implicitamente come «primo dei diritti inviolabili dell’uomo» (sentenza n. 223 del 1996) – in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri – dall’art. 2 Cost. (sentenza n. 35 del 1997), nonché, in modo esplicito, dall’art. 2 CEDU”.
È dunque di tutta evidenza la assoluta preminenza del diritto alla vita rispetto a qualunque altro diritto pur riconosciuto e protetto dal nostro ordinamento.
Le misure tecnologiche emergenziali, inoltre, paiono compatibili, oltreché con il nostro Codice della privacy (art. 2 sexies), anche con il diritto dell’Unione europea, in particolare con gli art. 9, comma 2, e 23 del GDPR, che consentono limitazioni alla privacy per motivi di sanità pubblica. La limitazione del diritto alla privacy, ai sensi del diritto dell’Unione, viene considerata misura “necessaria e proporzionata” che una società democratica può applicare “per la salvaguardia della sicurezza pubblica, ivi comprese la tutela della vita umana, in particolare in risposta a catastrofi di origine naturale o umana” (Considerando n. 73 del GDPR).
Se non vi sono dunque ostacoli all’impiego di strumenti utili per salvare vite umane e difendere la salute pubblica, anche a costo di comprimere il diritto alla privacy, occorre chiarire che la finalità deve essere quella di uscire dall’emergenza: occorre pertanto che gli strumenti impiegati abbiano esclusivamente questa finalità ed abbiano una durata limitata nel tempo, tale da garantire che, una volta terminata l’emergenza, i dati vengano distrutti e non siano più utilizzabili se non in forma aggregata ed anonima, al solo fine di ricerca.
Circa la necessità dell’utilizzo di siffatti strumenti di ingegneria artificiale per sconfiggere la pandemia in atto, l’esperienza di altri Paesi rappresenta una prova evidente. Quanto alla loro proporzionalità, essa discende esplicitamente dal regolamento europeo che ritiene appunto proporzionata la limitazione del diritto alla privacy laddove si tratti di salvaguardare la sicurezza pubblica e in specie la tutela della vita umana.
Naturalmente, trattandosi di comprimere diritti di libertà riconosciuti dal nostro ordinamento, lo strumento giuridico idoneo non può che essere la legge, ancorché nella forma del decreto legge, data la situazione straordinaria di necessità ed urgenza.
Per concludere, la gestione dell’emergenza ha dato vita ad un rapporto nuovo fra scienza e politica che occorre affrontare con coraggio ed equilibrio, consapevoli che nel futuro, proprio grazie alle nuove tecnologie, saremo sempre più chiamati a decidere fra esigenze contrapposte di tutela di differenti diritti costituzionalmente garantiti.