L’antiscienza ci accompagna sin da quando la scienza è nata. Basti pensare alla storia di Anassagora, costretto ad andar via dalla sua città per non avere “incidenti mortali” o a Socrate, che invece rimase ad Atene e morì come tutti sappiamo. I rapporti tra strutture sociali e impresa scientifica sono molto complessi.
Galileo Galilei, per esempio, considerato il padre della scienza moderna, era uno strenuo difensore del copernicanesimo e convinto della verità, di cui sembra si fossero fatti già portatori alcuni pitagorici: i moti della terra. Egli era desideroso di poter convertire a questa teoria alcune delle autorità più importanti del Paese, cardinali compresi.
Ma non fu così; Galileo fu ammonito privatamente da Roberto Bellarmino, invitato a “non parlare troppo del copernicanesimo” e a tener conto del fatto che questo si potesse trattare anche solo come un’ipotesi utile agli astronomi per semplificare i calcoli. Ciononostante, pochi anni dopo, nel 1623 Galileo scriverà ne Il saggiatore: “Io desidero la vera costituzion dell’universo”. Sappiamo com’è andata a finire, con Galileo, settantenne e ormai semicieco, prostrato a terra dinanzi ai giudici dell’inquisizione.
La storia di Galileo ci dimostra quanto siano stati difficili nel nostro Paese i rapporti fra potere e scienza. Non tra fede e scienza o tra religione e scienza, come ci si aspetta che sia – Galileo era un buon cristiano e un cattolico abbastanza devoto –, ma proprio fra potere e scienza. Galileo era considerato uno degli scienziati più prestigiosi d’Europa, eppure teorie audaci non solo non venivano accettate, ma nemmeno considerate degne di attenzione. E nell’arco della storia quello di Galileo non fu l’unico caso.
Quando nel 1859 Charles Robert Darwin pubblicò L’origine della specie fu un successo. Vendette un numero di volumi considerevole, ma si procurò una serie di grattacapi. Anche perché in Inghilterra il capo della Chiesa cosiddetta anglicana era anche il capo del Paese, e cioè il sovrano. E anche qui ci fu un’ostilità fortissima nei confronti di Darwin.
Lo stesso avvenne con Thomas Henry Huxley, quando il vescovo Samuel Wilberforce, meglio noto come “il saponoso” per l’abilità di evitare scontri diretti, lo derise, e con lui la teoria di Darwin e l’ipotesi che gli uomini “discendessero” dalle scimmie. Fu allora che Huxley evidenziò come questo atteggiamento rappresentasse un fraintendimento e delle scoperte scientifiche. Huxley, difatti, trovava ripugnanti tutte quelle forme di conservatorismo che si trovavano curiosamente a mettere insieme residui di vecchie credenze, anche filosofiche, e una ferma ostilità per il nuovo.
Nel Settecento, l’abate Giuseppe Parini sosteneva che l’ostilità verso le nuove forme con cui si combatteva il vaiolo, e in particolare le tecniche di inoculazione, era dovuta all’ancoraggio alla vecchia scuola e alle vecchie strutture ormai superate, nonché alla superstizione.
Poi Edward Jenner, che aveva notato come le mungitrici che si erano infettate con il vaiolo bovino non sviluppavano il vaiolo, dimostrando come l’inoculazione di vaiolo bovino proteggesse dal vaiolo umano. Come sono andate le cose è noto; Jenner aveva ragione e, nel giro di un secolo, nell’impero britannico e negli Stati Uniti si riuscì a debellare il vaiolo umano.
Duecento anni dopo, i vaccini sono di nuovo sotto assedio. Sono state scritte cose molto curiose, come, per esempio, che alcune vaccinazioni, come la trivalente (morbillo, parotite e rosolia) provocassero una forma di autismo. Per poi scoprire che il primo sostenitore di tale tesi, Andrew Jeremy Wakefield, nel definire il proprio campione sceglieva in prevalenza bambini che avessero già presentato sintomi di autismo prima della vaccinazione. Questa vicenda di Wakefield, che fu poi radiato dall’ordine, deve farci riflettere sul fatto che il virus più pericoloso non è quello delle malattie, ma quello dell’ignoranza; un virus in grado di nuocere a noi, ai nostri figli e ai figli di chiunque.