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Cultura e identità. Prima e dopo il 1861

Come porta l’Italia i suoi 150 anni di vita? Paese di antica civiltà, il secolo e mezzo che lo separa dalla formazione del Regno e poi della Repubblica italiana non equivale a un’età avanzata, se la si paragona ai 235 anni degli Stati Uniti d’America, un Paese solitamente considerato giovane. L’Italia di oggi, tuttavia, scricchiola e rischia di dissaldarsi, e più di un dubbio sorge sulla tenuta della comunità so-ciale, insoddisfatta, litigiosa, talora aggressiva o incline a isolarsi nelle singole individualità o in microcomunità di vario genere. Come af-frontare le sfide della società globale, la pressione degli immigrati, l’invecchiamento della popolazione, i mutamenti del costume individuale e familiare, e gli altri punti critici di una vita che, nonostante la lunga crisi economica, rimane relativamente agiata? Neppure il tifo unifica il Paese, se c’è chi accusa la nazionale di calcio di comprare le partite o si augura che sia sconfitta. Nulla di nuovo sotto il sole, se è vero che nel poema di Dante una donna, Sapìa, è punita tra gli invidiosi del Purgatorio per aver gioito di una sconfitta militare subita dai suoi concittadini.
 
Alla parola Italia corrisponde un’idea multidimensionale, che si è arricchita di molti significati, in una storia che abbraccia circa due millenni. Se lo Stato unitario, infatti, è relativa-mente giovane, la società italiana ha preceduto di molti secoli lo Stato del 1861; e l’idea d’Italia ha preceduto di molti secoli la società italiana. Padre dell’idea d’Italia, intesa come la penisola dalle Alpi fino alla punta dello stivale, è l’imperatore Augusto, che la divise in 11 regioni. Quest’Italia geografica permetteva di censire una popolazione che, superato lo stadio del nomadismo, si era ormai insediata, lavorando la terra e costruendo città e villaggi. L’Italia aveva uno statuto giuridico, politico, fiscale (e religioso) che la distingueva dal resto dell’Impero romano, formato da province.
Come capì Dante, molto tempo dopo, entro i canali dell’Impero romano si diffuse pacificamente il cristianesimo. A questa Italia geogra-fica, non più pagana ma cristiana, Dante aggiunse la dimensione della lingua per la poesia, inventando fin dal 1304-5 un italiano che era piuttosto un’aspirazione che una real¬tà. Ben presto quel sogno prese corpo grazie alla Divina Commedia dello stesso Dante, e al Canzoniere e al Decamerone di Petrarca e Boccaccio. Da allora si è formata la dinamica, caratte¬risticamente nazionale, dell’italiano come nobile lingua di cultura e dei tanti dialetti della penisola, che sono diversi tra loro e però tutti si riconducono al tetto dell’italiano.
 
Di una società italiana che non cancella le diverse identità cittadine si può parlare già nel Trecento e poi nei secoli seguenti: quando l’Italia è maestra delle relazioni diplomatiche, nonostante la debolezza dei suoi Stati medi e piccoli, e inaugura il sistema di inviare ambasciatori, che nel tempo diventano permanenti, per trattare le questioni di interesse comune ed evitare, nei limiti del possibile, la guerra come strumento di soluzione dei conflitti. In Italia si riscoprono la lingua e la cultura degli antichi greci e latini, sicché nel Rinascimento la nostra è la terza letteratura classica (dopo la greca e la latina), pacificamente esportata, insieme con le arti dell’architettura, della scultura, della pittura, della musica, verso Paesi militarmente più forti e politicamente più solidi. E l’aspirazione all’unità politica è chiara nel Principe di Machiavelli; ma quando, pochi anni dopo, Guicciardini opera concretamente per ottenere se non l’unità politica almeno l’indipendenza di tutta l’Italia dalla dominazione straniera, la rovinosa sconfitta che culmina nel sacco di Roma del 1527 dimostra l’impossibilità di quel fine, ragion per cui gli italiani non ci proveranno più per quasi tre secoli. Durante questo lungo periodo la società conserva la consapevolezza della propria identità culturale, ribadita anche dall’adesione convinta al cattolicesimo romano, in un’Europa che in seguito alla Riforma protestante ha perso l’unità religiosa. Nel corso del xviii secolo gli uomini di cultura, privi come sono di uno Stato che protegga gli studi, danno vita a una libera “repubblica dei letterati” (comprendente anche tecnici e scienziati) che trova il suo canale nell’Accademia dell’Arcadia, con capitale a Roma e diffusione in tutto il Paese.
 
Il periodo napoleonico sconvolge l’Europa e non risparmia l’Italia. Durante l’avventura napoleonica esce il Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, l’opera di Vincenzo Cuoco, molisano, dedicata alla sconfitta dei rivoluzionari giacobini che avevano dato vita nel 1799 a una Repubblica partenopea durata pochi mesi e poi repressa sanguinosamente dai Borboni e dai loro alleati inglesi. Con il Saggio, pubblicato nella Milano napoleonica, Cuoco, che aveva partecipato alla Repubblica e per poco era sfuggito alla condanna a morte, indicava i modi di un’azione politica che, diversamente da quella, generosa ma sbagliata, condotta da lui e dai suoi compagni a Napoli, fosse realistica e innovatrice al tempo stesso; era un lucido invito perché l’élite dirigente sapesse cointeressare i ceti popolari delle città e delle campagne, per i quali le parole repubblica o libertà suonavano inevitabilmente astratte, se non erano accompagnate (come allora non furono) dall’azione per il miglioramento delle condizioni di vita.
Si avviava il processo che avrebbe condotto mezzo secolo dopo all’unità politica del Paese, un processo nel quale il meridione ebbe un ruolo di primo piano nella costruzione del nuovo Stato, al quale fornì una parte cospicua della burocrazia civile e militare, e dirigenti politici importanti, tra i quali basterà ricorda¬re Francesco Crispi, per più anni capo del governo (1887-91 e 1893-96).
Ciò fa capire come il sud, con il resto del Paese, potrebbe riconquistare un ruolo di alto profilo se solo si rimettesse in moto il movimento delle idee, che in Italia si è bloccato da molti anni. Paese povero di materie prime, già in età medievale e rinascimentale gli italiani dovevano contare sull’intraprendenza commerciale, fi¬nanziaria e manifatturiera degli uomini d’affari e sulla laboriosità delle maestranze; e ancora oggi nell’economia ha un ruolo importante la vitalità spontanea, non sorretta da particolari provvidenze statali, della piccola impresa, spesso di base familiare. Allo stesso modo la creatività di scrittori, artisti o, poniamo, creatori di moda, invita a progettare e a guardare al futuro, senza restare prigionieri nella dimensione del presente. Perché il Paese torni a essere consapevole di sé, un solido, serio, vivace, articolato sistema di istruzione media e su¬periore è una condizione indispensabile, che richiede finanziamenti ma, prima ancora, una giusta direzione di natura intellettuale, quale può avere solo un Paese che sappia dove voglia andare, superando con la lucidità delle idee lo stato presente di smarrimento.


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