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Un’arma contro l’ipertensione

Secondo l’ultimo rapporto pubblicato da Osmed (Osservatorio sull’impiego dei medicinali), nel 2009 il mercato farmaceutico totale, comprensivo della prescrizione territoriale e di quella erogata attraverso le strutture pubbliche (Asl, aziende ospedaliere, policlinici universitari, etc.), è stato di oltre 25 miliardi di euro, di cui il 75% a carico del Servizio sanitario nazionale. In media, per ogni cittadino italiano, la spesa per farmaci è stata di 420 euro. Per chi ha più di 75 anni però, essa è oltre 12 volte maggiore rispetto a quella di una persona di età compresa fra 25 e 34 anni.
Che gli anziani usino più medicinali rispetto ai giovani è evidente. In realtà però non è sempre così. Nel rapporto che gli over 65 hanno con pastiglie e sciroppi si riscontrano due atteggiamenti opposti. C’è chi è ´´farmacodipendente´´ e tende a regolare con le medicine anche le più normali attività fisiologiche del suo organismo: una pillola per normalizzare le funzioni intestinali, un flaconcino per aiutare la memoria, le gocce per dormire e, all´occasione, per calmarsi e così via. All´estremo opposto, chi non ha avuto un nonno altrettanto strenuamente ´´contrario ai farmaci´´ che pensa che essi facciano più male che bene, che dimezza regolarmente i dosaggi o evita del tutto di seguire le terapie prescritte, soprattutto se la malattia da curare non arreca disturbi apparenti?
Come sempre, c´è una via di mezzo: assumere i farmaci nel modo corretto e solo quando sono veramente necessari. I farmaci possono infatti curare le malattie, alleviarne i sintomi e prevenire le complicazioni. In questo senso migliorano la qualità della vita e la prolungano.
 
Ciò che complica le cose è che spesso negli anziani coesistono più patologie. Ognuna di esse può richiedere una cura specifica che può entrare in conflitto con l’altra. Per questo, aumentando il numero di farmaci assunti, aumenta anche il rischio che compaiano effetti negativi legati alla terapia. Con l´età inoltre può diventare più difficile seguire scrupolosamente le istruzioni ricevute e possono aumentare gli errori nell´assunzione dei medicinali. Quanti più farmaci si assumono, tanto più è probabile sbagliare. La perdita della memoria, l´indebolimento della vista e la scarsa destrezza manuale possono anch’essi giocare un ruolo importante.
A questo si aggiunge che, invecchiando, l’organismo cambia e questo influenza il modo in cui reagisce alla somministrazione di farmaci. Fra i cambiamenti, il più importante è la diminuzione della funzionalità degli organi che trasformano ed eliminano i farmaci, ossia il fegato e i reni, con il rischio che alcuni si accumulino nell´organismo, rendendo più probabili le reazioni di tossicità.
La scienza sta cercando di risolvere il problema. Ad esempio, un avanzamento importante verso la terapia personalizzata dell’ipertensione e delle sue complicanze per la sua cura è rappresentato dalla strategia congiunta di individuare su base genetico-molecolare i portatori di specifici meccanismi ipertensivanti e di sviluppare un farmaco capace di bloccarli selettivamente. L´ipertensione arteriosa è infatti una tra le malattie più ricorrenti, tra anziani e non. I numeri sono eloquenti. Ne soffre più di un miliardo e mezzo di persone nel mondo, 15 milioni in Italia (circa il 30% della popolazione), ed è la causa di sette milioni di morti a livello globale, 240mila nel nostro Paese che corrispondono a circa il 40% di tutti le cause di decesso. Consiste in una condizione patologica cronica in cui la pressione arteriosa risulta elevata ed è anche detta il “killer silenzioso” perché si insinua senza presentare sintomi specifici. L’ipertensione arteriosa è il principale fattore di rischio per malattie cardiovascolari quali: l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale, lo scompenso cardiaco, l’insufficienza renale e le complicanze del diabete.
Purtroppo, è stato anche rilevato che, nonostante la disponibilità di terapie capaci di ridurre la pressione, solo un paziente iperteso su cinque è adeguatamente curato. Anche quando il controllo della pressione viene raggiunto, la riduzione del rischio cardiovascolare di mortalità non supera il 30%.
La ragione di tale insuccesso risiede principalmente nella complessità di tale malattia che si sviluppa attraverso l’interazione di molteplici fattori, sia genetici sia ambientali, che diversamente modulano le funzioni cardiache, renali, del sistema nervoso e ormonale nei vari pazienti. Una mancata identificazione dei meccanismi patogenetici operanti nel singolo paziente e la conseguente impossibilità di correggerli con terapie mirate comporta: una ridotta aderenza da parte del paziente alla terapia che spesso deve sperimentare terapie diverse, non prive di effetti collaterali anche importanti, prima, e non sempre, di ottenere un buon controllo pressorio; la mancanza di un adeguato controllo del rischio cardiovascolare e della mortalità.
 
I ricercatori della Prassis (Gruppo Sigma-Tau) e dell’Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano, hanno invece dimostrato la validità di un nuovo approccio terapeutico che possiamo definire “farmacogenomico” nella lotta a questa patologia.
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Science Translation Medicine, identifica dei marcatori genetici che permettono di individuare i pazienti che meglio potranno essere curati con una terapia efficace e priva di effetti collaterali.
Le mutazioni nei geni che controllano la funzione dell’adducina e i livelli corporei di
ouabaina endogena infatti sono risultate associate all’ipertensione e ai rischi ad essa connessi.
Un nuovo farmaco antiipertensivo, rostafuroxin, è stato sviluppato per la sua capacità di
bloccare selettivamente l’effetto ipertensivante di questi geni mutati. In altre parole, si è dimostrato che è possibile identificare a priori su base genetico-molecolare i pazienti che risponderanno efficacemente alla terapia mirata per il loro specifico difetto.
La ricaduta di tale scoperta in termini di prevenzione del rischio cardiovascolare nell’ipertensione è rilevante e va oltre il semplice controllo della pressione arteriosa.
Infatti, dato il peculiare meccanismo di rostafuroxin, ci si aspetta che anche i danni a cuore, reni, vasi e cervello associati alle mutazioni dei geni che controllano la funzione dell’adducina e della ouabaina endogena potranno essere prevenuti dall’uso del nuovo medicinale in questi pazienti selezionati.


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