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Acconto Irpef, la truffa continua e peggiora

Brutto segnale il ritorno dell’acconto Irpef tra le voci di copertura di un provvedimento. Poco importa che serva a rinviare l’aumento di un’imposta, l’Iva, che sembra tanto il colpo di grazia a un’economia strutturalmente gracile e provata dalla crisi. Non regge nemmeno l’obiezione che si tratti di un solo punto percentuale in più sull’anticipo delle imposte del 2014. Il solo evocare l’anticipo delle imposte lascia il bocca il sapore stantio della peggiore politica economica, figlia del peggiore compromesso e ci riporta agli anni peggiori della Repubblica italiana.

L’acconto compare per la prima volta nel 1977 (la legge 97 stabilì che i contribuenti, persone fisiche e giuridiche, dovevano versare in settembre un acconto pari al 75 per cento dell’imposta corrispondente al reddito complessivo dichiarato per il periodo di imposta precedente). Anni di inflazione e terrorismo e, più in generale, di un progressivo allontanamento dell’Italia dagli altri Paesi dell’Occidente.

Il governo è l’Andreotti tre, quello della “non sfiducia”. La Dc aveva appena aperto uno spiraglio al Pci facendo infuriare i socialisti; alle elezioni la sinistra tentò il sorpasso ma riuscì solo ad azzoppare la vecchia maggioranza. L’esito fu un monocolore democristiano tenuto in piedi da un’opposizione blanda.

Il Presidente del consiglio doveva concordare ogni decisione con il Pci, cercando di non scontentare la Cgil, né di allarmare gli Usa e Confindustria. Il tutto mantenendo una parvenza di ordine nei conti pubblici. È in questo periodo che nella classe politica italiana si consolida l’idea che i conti pubblici e la competitività del paese (in sintesi, il benessere delle generazioni future) si possano sacrificare sull’altare degli equilibri politici.

L’anticipo delle imposte dell’anno successivo è sostanzialmente una truffa, realizzata con la complicità del bilancio pubblico più opaco del mondo occidentale; sfrutta la confusione tra cassa e competenza per permettere allo Stato di spendere oggi quello che dovrebbe incassare domani. È una delle tante dimostrazioni, insieme alle riforme previdenziali, di come le istituzioni che governano la società familista per eccellenza non si facciano scrupoli a mettere una pesante ipoteca sulla vita dei propri figli pur di non fare scelte oggi.

Rischi per i conti a parte, per il governo di Enrico Letta la copertura trovata dal ministro Fabrizio Saccomanni è un errore politico, sia pure piccolo. Di quelli alla Mario Monti che, nelle intenzioni, lo stesso premier voleva evitare al massimo. Forte di una maggioranza amplissima e di collaboratori che, nonostante appartengano a partiti rivali, lavorano bene, l’esecutivo potrebbe dedicarsi alle riforme economiche, che sono politicamente neutre e sulle quali – propaganda a parte – c’è condivisione. Le privatizzazioni, tagli veri alla spesa pubblica, dai ministeri agli enti locali. Puntare sul l’anticipo dell’Irpef significa non scegliere, non fare scelte condivise.



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