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Alla Chiesa italiana servono porpore o un sinodo? Le parole di Ruini lette da Cristiano

Un dibattito si espande sorprendentemente proprio in queste ore, quelle che seguono la pubblicazione dell’enciclica “Fratelli tutti”, su molti giornali. Ad accenderlo è stato un big del cattolicesimo italiano, l’ex vicario di Roma, cardinale Camillo Ruini.

I più sottolineano che ha mosso un appunto a Francesco, ma non sull’enciclica né sugli scandali: ha sottolineato al riguardo della presenza di cardinali italiani nel Sacro Collegio che “non sarebbe bene che l’Italia fosse sottorappresentata”.

La domanda non toccava questo punto però, toccava l’assenza nel Sacro Collegio delle supposte “sedi cardinalizie”. Non ci sono quelle, cioè Milano, Venezia e altre, ce ne sono altre: le periferie. Non è sottorappresentazione, è diversa rappresentazione. Ma Ruini dice anche un’altra cosa: le difficoltà politico-culturali del cattolicesimo italiano sono evidenti. Pensandoci bene un altro tipo di difficoltà la evidenzia proprio lui. Richiesto di un giudizio sulla chiusura delle chiese al tempo del Covid ha risposto che i portoni chiusi intristivano, ma “Dio si trova ovunque”. Un riferimento esplicito al fondatore dei gesuiti, Sant’Ignazio di Loyola, non certo al famoso documento della Cei: “I vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto”.

Se c’è un avviso che dovrebbe preoccupare i vescovi italiani potrebbe trovarsi più qui che nel fatto che nel Sacro Collegio ci sia Agrigento e non Venezia, ad esempio. Il discorso delle sedi cardinalizie oltre a escludere le periferie sembra poter alimentare un carrierismo vescovile, visto che in certe sedi la porpora sarebbe assicurata, facilitando (umanamente) l’ipotesi che  i migliori possano anelare a “migrare”. Eppure c’è un illustre precedente che non sempre era così quando il discorso delle “sedi cardinalizie” era in vigore sebbene mai scritto, visto che nel lessico di allora i cardinali vengono “creati” dal papa, il ruolo o il posto non esiste: l’esempio riguarda Milano, dove l’arcivescovo Montini attese molto tempo prima di diventare cardinale.  Capitava allora, capita oggi, ma oggi per altri motivi. Oggi non capita per punizione, oggi c’è un discorso di valorizzazione delle periferie, che può piacere o non piacere, ma persegue un altro criterio, meno verticista, più di ramificazione nel mondo.

Se i vescovi italiani volessero pronunciarsi davvero sulla difficoltà che evidenzia Ruini potrebbero farlo altrimenti.

Papa Francesco ha sollevato in qualche occasione più o meno direttamente il tema di un sinodo italiano. Se la Chiesa e i suoi pastori  fossero d’accordo con il loro ex presidente e vedessero una difficoltà politico-culturale potrebbero finalmente prenderlo in considerazione. C’è una frase interessante nel testo di Ruini, che non ritrovo in molti altri pronunciamenti: dice che di questa difficoltà si dovrebbero occupare i laici cattolici ma anche la Chiesa in quanto tale. Cosa vuol dire? L’ecclesiologia del Concilio ha chiarito che la Chiesa è di tutti i battezzati, la regalità attribuita ai laici. Se Ruini, come non penso, non dice invece che la Chiesa  è dei sacerdoti, o dei vescovi, allora vuol dire che va incontro all’idea di sinodo. E comunque sia, in un momento ritenuto difficile, con quel che deriva da pandemia, questione migratoria, disoccupazione, diffusione dell’odio e del disprezzo, nuove povertà, emarginazione degli anziani, difficoltà scolastiche, un sinodo italiano non aiuterebbe la Chiesa in Italia molto più di una discussione sulle sedi cardinalizie o sulla rappresentanza numerica nel Sacro Collegio?

C’è una frase nell’enciclica “Fratelli tutti” che segue una citazione  del cardinale cileno Raul Silva Henriquez, appassionato difensore dei diritti umani. Lui dopo il golpe parlò di come si perda la propria indipendenza ideologica, economica e politica. Dissoluzione della coscienza storica, scrive Francesco, soggiungendo: “Un modo efficace di dissolvere la coscienza storica, il pensiero critico, l’impegno per la giustizia e i percorsi di integrazione è quello di svuotare di senso o di alterare le grandi parole. Che cosa significano oggi espressioni come democrazia, libertà, giustizia, unità?”. Già… Quanto servirebbe parlare di questo, nella Chiesa come fuori.

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