Su dieci investimenti cinesi in Europa, almeno quattro hanno alle spalle il Partito comunista cinese (Pcc). Un report di Datenna Bv, società di consulenza olandese, rilanciato dal Wall Street Journal, suona un campanello d’allarme. Di 650 investimenti europei del Dragone dal 2010 ad oggi, il 40% vede il coinvolgimento di aziende controllate dallo Stato cinese.
È una mappa inedita che nasce dall’analisi di milioni di dati dei registri delle imprese cinesi. Dalle fusioni alle acquisizioni fino agli investimenti diretti esteri, la presenza delle autorità di Pechino dietro gli accordi siglati in Europa, svela il report, si nasconde spesso dietro un millefoglie legale fatto di strutture societarie, controllate, sussidiarie.
Un castello di carte di cui l’Ue non si è accorta del tutto. Basta confrontare i dati della società olandese con quelli contenuti nel rapporto sugli investimenti diretti esteri della Commissione Ue pubblicato nel 2019. Tra il 2010 e il 2017, spiega il Wsj, i riflettori del regolatore Ue hanno rilevato 57 acquisizioni da parte di aziende di Stato cinesi. Datenna ne conta 160: il triplo. Più altri 100 con “una moderata influenza” del governo cinese.
Una mappa interattiva segna uno ad uno i principali colpi incassati dal governo cinese. L’Italia è costellata di pallini rossi, cioè di accordi con un “alto livello” di influenza del Pcc.
C’è l’entrata, nel 2012, del colosso di Stato cinese Shandon Heavy Industry Group nel Gruppo Ferretti, lo stesso che vuole ora ricostruire lo scalo “ex Belleli” del porto di Taranto allarmando l’intelligence, il Copasir, il governo americano. C’è l’acquisto della Salov, azienda produttrice di olio, da parte dei cinesi di Bright Food, tramite la controllata Yimin, nel 2015. E ancora l’investimento di Efort in Evolut, eccellenza della robotica nel bresciano, nel 2016, e dei cinesi di Crcc in Blue Engineering, l’anno dopo. O la partecipazione di PowerChina nella torinese Geodata, società leader nell’ingegneria ambientale, luglio 2017.
La lista di investimenti “ad alto rischio” di interferenze del governo cinese in Italia è lunga. Ma il record è della Germania, dove si perde la conta dei gioielli dell’automotive e della robotica (su tutti, la vendita di Kuka Robotics alla cinese Midea nel 2016) passati in mano ad aziende di Stato cinesi.
Scovare la presenza dello Stato dietro il business cinese in Europa è più facile a dirsi che a farsi. Un conto sono le maxi-acquisizioni, come quella del gigante cinese Cncc di Pirelli nel 2015. Un altro sono le migliaia di piccole operazioni dove trovare la mano del governo cinese è molto più difficile. Molti degli accordi analizzati da Datenna in quattro anni di ricerche “non hanno un valore pubblico”, scrive il Wsj. “Circa il 15% sono stati conclusi attraverso sussidiarie europee o previe acquisizioni, cioè hanno evaso lo scrutinio degli investimenti diretti esteri”.
Certo, mancano anche gli strumenti. Perché i “watchdog” dell’Ue non vedono neanche la metà delle operazioni cinesi con la regia a Pechino? Perché, ad esempio, in Europa non esiste nulla di simile al Cfius, il comitato di screening degli investimenti del governo americano che riunisce un pool di Dipartimenti e agenzie e passa al filtro tutti gli investimenti sospetti.
L’Europa ha le armi spuntate, per sua stessa ammissione. Questo mese la Corte europea degli Auditori, cioè l’organo a Bruxelles preposto al monitoraggio degli investimenti, ha fatto un mea culpa in un report: le informazioni a disposizione sugli investimenti diretti esteri cinesi sono “fuori tempo, frammentate e incomplete”.
La società danese fa un esempio concreto. Nel 2019 una sussidiaria del colosso cinese quotato alla borsa di Shanghai, Suzhou Jingfang Semiconductor Technology Co., conosciuta anche con il nome di China Wafer Level Csp Co., ha comprato il 73% di un’azienda olandese nel settore della robotica, la Anteryon, “uno spinoff di Philips Electronics”. Dall’analisi dei database, a Datenna risulta che “l’acquirente è controllato attraverso più livelli da shareolders collegati che a loro volta sono nelle mani di autorità statali cinesi”.
Ma c’è un allarme nell’allarme. Molte delle aziende europee acquistate dalle società di Stato cinesi, una volta terminata l’operazione, iniziano una lenta riconversione per produrre equipaggiamento militare, conclude il report.
Eloquente il caso di Fuba, azienda tedesca specializzata nei sistemi di comunicazione a bordo dei veicoli, spin-off di Delphi Co., un tempo unità dell’americana General Motors. Nel 2015 è stata comprata dal gruppo cinese Northeast, e ha dato il via alla produzione di tecnologie con potenziali applicazioni militari (cosiddette dual-use). La sua controllante Norinco Group, spiega Datenna, “è controllata da un braccio del Consiglio di Stato cinese”, dunque ora Fuba “è controllata dal governo cinese”.