Skip to main content

Passa la linea Salvini: per i sindaci il centrodestra guarda alla società civile. La bussola di Ocone

Qualche nome è trapelato dalla riunione che ha visto ieri il centrodestra incontrarsi per discutere chi presentare alle prossime elezioni nei comuni. Prevale la strategia del leader della Lega: puntare su un professionista o un tecnico la cui candidatura abbia anche una forte valenza simbolica

Ormai, ben metabolizzati i risultati delle regionali, la politica italiana comincia a proiettarsi sulla prossima tornata elettorale: quella primaverile delle comunali, che interesseranno le più importanti città d’Italia.

È stato Carlo Calenda a smuovere le acque nel centrosinistra, autocandidandosi qualche giorno fa, ma ancora una volta è il centrodestra che sembra più preparato a trovare candidature unitarie. Non che non ci sia, anche in quella parte politica, una divergenza di vedute fra i singoli partiti anche sui nomi, ma alla fine c’è la volontà di sedersi attorno al tavolo e lavorare a candidature comuni.

Il tavolo, questa volta, è quello dello studio di Matteo Salvini al Senato, ove ieri si sono incontrati e seduti, insieme al leader della Lega, Giorgia Meloni e Ignazio La Russa per Fratelli d’Italia, Antonio Tajani e Licia Ronzulli per Forza Italia mentre Giancarlo Giorgetti e Silvio Berlusconi erano in collegamento streeming dalle loro case.

Il gruppo si rivedrà dopodomani, venerdì, per chiudere sui nomi, ma intanto qualche indiscrezione sulla discussione è già venuta fuori. Ciò che sembra essere venuta anche fuori è una strategia ben precisa, cioè una linea da seguire nella scelta, dettata da Salvini che in questo modo conferma di fatto la leadership che qualcuno aveva recentemente considerato insidiata. Essa nasce, in sostanza, da un’analisi attenta del voto nelle Regioni, ove si è capito che i politici di apparato, quelli che pur giovani una loro gavetta politica l’avevano comunque fatta (mi riferisco in particolare a Lucia Bergonzoni e Susanna Ceccardi) hanno la forza per ottenere un buon risultato ma non per vincere. Così come ottengono risultati deludenti rispetto alle attese candidati che sanno di “vecchio”, cioè appartenenti a un’altra stagione politica (è stato il caso il 20 settembre di Stefano Caldoro e Raffaele Fitto).

Preso atto di questi elementi, il centrodestra sembra adesso voler imboccare la strada del nome scelto nella “società civile”, cioè di un professionista o un tecnico la cui candidatura abbia anche una forte valenza simbolica. È in quest’ottica che il Cavaliere ha gettato sul tavolo il nome di Guido Bertolaso per Roma: sicuramente una personalità, che però allo stato attuale non sembra convincere né Salvini né la Meloni in quanto appartenente comunque a una stagione passata. D’altronde, anche questo insistere del Cavaliere sui “suoi” vecchi nomi, mostra forse plasticamente il ripiegarsi di Forza Italia, il definitivo esaurimento della sua spinta propulsiva. Se così fosse, risulta ancora più evidente la bontà della linea di apertura al centro che sembra maturare nella Lega e che è stata enunciata con chiarezza dallo stesso segretario in una recente intervista al Corriere della sera.

Si tratta, in sostanza, di coprire un’area rappresentativa di un blocco sociale fatto di borghesia produttiva e non assistita, e di grandi professionisti, (diciamola tutta: gente che vuole essere messa in condizione di poter lavorare e non propensa a scendere troppo in piazza) che il partito di Berlusconi ha finora ben rappresentato. Per Milano i nomi che si sono fatti ieri sono quelli dell’ingegner Ferruccio Resta, rettore del Politecnico e presidente della Crui; di Sergio Dompé, grande industriale del farmaco; di Letizia  Moratti (che sarebbe sì una donna del passato ma è anche una valente imprenditrice).

Il nome che comunque sembra più gettonato è quello di Filippo Veronesi, figlio del grande Umberto e oncologo anche lui. Altri nomi, a conferma che la linea emersa è chiara: l’imprenditore ed ex presidente di Confindustria Antonio D’amato e (leggermente favorito) il giudice Catello Maresca a Napoli; l’imprenditore del food (vino e pasta) Paolo Damilano a Torino; il direttore della locale e potente Confcommercio Giancarlo Tonelli a Bologna.

Sono nomi vincenti, se ben supportati e accompagnati anche mediaticamente, ma che segnalano un problema serio per la destra (e in genere per la politica italiana attuale): la non spendibilità dei nomi di partito, causa l’assoluta mancanza di una struttura di “classe dirigente” interna. Forse è da qui, che a destra e non solo, bisognerà ripartire per rimettere su questo nostro Belpaese.


×

Iscriviti alla newsletter