La Cina propone di inviare a breve un miliardo di dosi di vaccino-Covid in tre ambiti geografici: Pacifico, Africa e Sudamerica. Dietro all’operazione umanitaria a favore di Paesi in via di sviluppo si cela un interesse strategico per il Partito/Stato
Quando il segretario del Partito comunista cinese chiama “bene comune per l’umanità” i vaccini per il Covid che le aziende di Pechino stanno preparando, è impossibile non pensare a una dimensione narrativa che ha un obiettivo geopolitico. Il capo dello Stato Xi Jinping non improvvisa: ogni virgola è ragionata, studiata, progettata. La narrazione serve a cancellare dalla memoria – operazione di rimozione avviata da mesi – la brutta storia della diffusione epidemiologica a Wuhan, cuore della pandemia. Ma non solo, come vedremo.
Sottovalutazioni e silenzi colpevoli delle autorità dell’Hubei del governo centrale sono alla base della crisi sanitaria globale, ma uscire pubblicamente come coloro che prepareranno a breve un miliardo di dosi pronte a essere inviate tra l’umanità è uno storytelling da risolutore che cancella quello da untore. Ombra che la Cina si porta dietro. Tutto abbinato ai super dati sul rilancio economico: Pechino è tornata a crescere, ha sconfitto la crisi, si conferma modello da seguire. Questo è il racconto che il Partito/Stato vuol fare uscire.
I due prodotti della Sinopharm, quello della CanSino Biologics e infine un altro della Sinovac sono alla Fas-3, ossia il livello di sperimentazione più avanzato: quello che riguarda le grandi masse tra cui si testerà (su grandi numeri) se l’inoculazione è efficiente e priva di effetti collaterali importanti. Ma intanto Pechino si porta avanti con la diplomazia del vaccino, sostituto nel lag temporale della pandemia di quella delle mascherine, ossia quando la Cina inondò il mondo di aiuti sanitari – parte iniziale dell’operazione revisionista sulla storia dell’epidemia.
Il vaccino, s’è detto più volte, è l’arma strategica del presente. E non stupisca dunque se dalle parole del governo cinese – autarchia che ha permesso con forzature di bruciare le tappe delle sperimentazioni per rincorrere la necessità strategica – si riconosca dietro a quello temporale anche un lag geografico, e dunque geopolitico. L’annuncio sulla diffusione extra-Cina di quel miliardo di dosi arrivato da Pechino si porta dietro la promessa di aiutare i Paesi in via di sviluppo, ma dai nomi che escono l’inganno narrativo è presto smascherato.
Da un lato il blocco del Pacifico: Malesia, Thailandia, Cambogia, Laos. Tutti Stati su cui la Cina nutre un diretto interesse geopolitico, tornaconto dietro all’assistenza sanitaria nevralgica. La Cambogia contiene la base militare di Ream, uno degli affacci cinesi sull’Indiano; la Malesia è l’estremo superiore dello stretto di Malacca, centro talassocratico delle mire del Dragone in faccia all’India; la Thailandia e il Laos sono parte del confinamento marittimo e terrestre del Vietnam, Paese amico degli Stati Uniti (nemico totale di Pechino) armato dal Giappone (altro rivale nel Pacifico) e contender ambizioso nel Mar Cinese.
Ancora: c’è l’Africa. La distribuzione dei vaccini all’interno del Continente Nero significa saldare ulteriormente una presenza che ha valore tecnico e strategico. L’Africa è un nuovo mondo in ascesa, lo sviluppo economico significa aumento dei consumi nel futuro (consumi di merci cinesi, intendono a Pechino); ma è altrettanto un continente pieno di risorse. A cominciare dalle potenzialità nell’agro-alimentare fino alle materie prime per l’industria tecnologica: la corsa al primato cinese si porta dietro fame di risorse, da quelle che costituiscono la componentistica per sostenere l’Electro-State, fino alle materie prime alimentari per sfamare la popolazione. La Cina non è indipendente su questi ambiti, perciò cerca giacimenti da usare.
Infine il Sudamerica. Dai dati del rapporto sulla povertà recentemente pubblicato dalla World Bank, il subcontinente è quello in cui il Covid ha colpito più pesantemente. Nuovi poveri che significano nuove potenziali istanze che spingono destabilizzazioni. Questo significa che l’aiuto cinese – in un ambito che è naturalmente sfera d’influenza americana – ha un doppio valore: da un lato, seguendo la narrativa umanitaria, assistono Stati dove i governi soffrono difficoltà (economiche, sanitarie, sociali); dall’altro si contrappongono violentemente agli Stati Uniti dell’America First trumpiano, condividendo l’enorme traguardo tecnologico con gli altri. L’altruismo d’altronde è quasi sempre interessato.