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Recessioni patrimoniali à la nipponica

Il decennio perduto. Non parliamo di quello già perso dall’Italia, che ha avuto dal 2000 al 2012 (stimando per quest’anno un ottimistico -1,5%) un tasso di crescita medio del Pil negativo. No, parliamo di quello che rischia di piombarci addosso visto che, come avverte Richard C. Koo, economista brillante che lavora per il Nomura Research Institute di Tokyo, ci troviamo, come lo furono Giappone e Stati Uniti tempo addietro, a fronteggiare una tempesta perfetta, chiamata recessione patrimoniale (balance sheet recession).
Questo tipo di recessioni, secondo Koo, avviene tipicamente a seguito dell’esplosione di una bolla finanziaria e porta imprese, banche e famiglie a concentrarsi per un lungo periodo di tempo, piuttosto che verso crescita e profitti, a ridurre anzi minimizzare i loro debiti, tagliando domanda ed attività economica.
 
Per i nipponici la bolla culmina nel 1991 (prezzi della case che crollano dell’87%), negli Stati Uniti nel 2006, con un andamento nel tempo, prima il cumularsi e poi lo sgonfiarsi, incredibilmente simile. Così come incredibilmente simili sono i rischi delle conseguenze connesse con l’esplosione della bolla, quando la politica monetaria si rivela inutile, perché nessuno è interessato a prendere a prestiti: l’economia si inviluppa, argomenta Koo, fino a quando si è così poveri che si smette di risparmiare e si entra in depressione. Ecco il suo esempio: “si consideri un mondo dove una famiglia ha un reddito di 1000 euro e ne risparmia il 10% (100 euro). Normalmente questi 100 euro vengono intermediati dalle banche e prestati. Quando colui che li prende a prestito li spende, il totale della spesa nell’economia eguaglia il totale del reddito prodotto. Se, in tempi normali, nessuno domanda a prestito i 100 euro, i tassi d’interesse scendono per renderlo possibile.
 
Ma in un mondo dove il settore privato pensa solo a ridurre il suo debito, anche a tassi zero nessuno chiede a prestito quei 100. Si spende dunque solo 900, che vanno a pagare quell’imprenditore che produce quei beni prodotti. Ma quell’imprenditore dei 900 ne spende solo 810, 900 meno i 90 che risparmia. Quei 90 di nuovo non vengono prestati. E l’economia si contrae e si contrae e si contrae…” . Un racconto horror ma plausibile, chiamato recessione patrimoniale.
Se non avesse reagito, il Giappone della bolla sarebbe crollato al ritmo del 10% l’anno, un po’ come gli Usa nella Depressione degli anni Trenta. Come fecero ad evitare questo scenario? Facendo entrare in campo lo Stato, disposto a domandare a prestito e a spendere, così che il PIL non crollò. Esattamente come fece Roosevelt dal 1933. Negli Stati Uniti dal 2007 il deficit pubblico, ampio, non è riuscito a compensare il crollo dei risparmi messo in atto per ripagare i debiti dei privati. Ma ad arginare il crollo, e a riprendersi, come fece il Giappone, è servito eccome. E i risparmi per sottoscrivere il debito pubblico? Ci sono, ovviamente, come visto sopra; cercano solo dove allocarsi, come dimostrato dai bassi tassi dei bond statunitensi in questo periodo.
 
Direte: ma non funziona così nell’area dell’euro, anch’essa con i privati alle prese con la riduzione dei debiti. I risparmi degli spagnoli e degli italiani ora come ora finiscono in Germania. Appunto. Ecco perché secondo Koo qualsiasi soluzione non può che passare – assente una irrealistica autarchica chiusura dei mercati dei capitali – per un’espansione fiscale di spesa pubblica guidata dalla Cancelliera Merkel. Il decennio perduto rischia di derivare da questa renitenza tedesca a spendere, ammonisce il ricercatore nipponico. E che spenda a lungo, perché due tentativi di rientro del debito pubblico tramite austerità giapponese nel 1997 e nel 2001 furono disastrosi, interrompendo la ripresa e portando alla crescita e non alla diminuzione dei debiti pubblici.
 
E in Italia, paese con poco spazio per prendere a prestito? Uno studio recente di due ricercatori della Banca d’Italia, Francesco Caprioli e Sandro Momigliano, argomenta come “un aumento della spesa pubblica per consumi finali pari all’1 per cento del prodotto del settore privato induce un significativo aumento delle entrate nette … (che) persiste anche dopo il venir meno dello shock alla spesa, determinando il riassorbimento in 3 anni dell’aumento iniziale del debito. Gli effetti sul prodotto del settore privato sono positivi e significativi per oltre 2 anni ….”: più spesa, meno debito-PIL.
 
Per Koo non è importante come spendere, importa che lo Stato spenda. Fino a quando non se ne esce. Quando se ne uscirà? Non facile prevederlo. Anche perché le persone traumatizzate da queste crisi patrimoniali tendono a non prendere più a prestito per tanto tempo (pensate a tutta una generazione di anziani che negli Stati Uniti hanno continuato ad evitare di farlo, ricordando gli anni bui della grande crisi). Si dovrà pensare, allora, a sussidiare i prestiti. Ma, questo è domani. Ora ci si preoccupi di evitare un nuovo decennio di crisi.
 

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