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Caro Saccomanni, che cosa aspetti a privatizzare? Il rapporto di Società Aperta

Dal fisco alla giustizia civile, dalle opere pubbliche alla scuola, il Rapporto di Società Libera disegna un paese prigioniero dello statalismo e dell’oppressione burocratica. E boccia senza appello l’esperienza del governo Monti.

Mercato e concorrenza, due fantasmi nell’Italia del 2013
Il 2012 è stato l’anno delle “liberalizzazioni chiacchierate”, in cui al di là di generiche invocazioni non si sono intraviste strategie di respiro da parte di una classe dirigente immobile, incapace di ravvivare il circuito virtuoso consumi-produzione-investimenti-occupazione. Per cui l’eterno statalismo italiano, fondato sul potere abnorme dell’apparato burocratico, si è facilmente saldato con liberalizzazioni di mera facciata, funzionali a consolidare rendite di posizione e propaggini di un capitalismo di relazione. Si apre così, con un’impietosa denuncia dell’esperienza del governo Monti, il Rapporto 2013 elaborato da Società Libera sul processo di apertura al mercato e alla concorrenza in Italia. Giunta all’undicesima edizione, la ricerca del think-tank liberale dimostra che il nostro paese ha perduto occasioni storiche per inserirsi a pieno titolo nell’alveo delle democrazie industrializzate.

Fin dalle prime privatizzazioni agli inizi degli anni Novanta è mancata una cultura politica in grado di guidare i processi di liberalizzazione, ed è rimasta radicata una profonda diffidenza verso la libertà di mercato, la sua fallibilità e il suo dinamismo, la sua capacità di correggersi e la sua imprevedibilità. È sopravvissuta e si è rafforzata l’aspirazione a pianificare e regolamentare da parte del ceto politico e legislativo, così come la rappresentanza corporativa degli interessi tramite meccanismi burocratici. Si sono perpetuate le sacche di privilegio, spazi ideali per l’illegalità e la corruzione sistemica.

Le privatizzazioni scomparse dall’agenda pubblica
Lo scorso anno si è tentata una sola privatizzazione, quella dell’Unione Nazionale Ufficiali in Congedo. Tentativo fallito perché il decreto non è stato convertito in legge a causa dello scioglimento anticipato delle Camere. Un dato emblematico per una realtà in cui si invocano l’apertura alla concorrenza e i tagli di spese quali strumenti per l’abbattimento del debito e la ripresa. Non bisogna sorprendersi se l’Indice della libertà economica pubblicato dalla Heritage Foundation proietta l’Italia all’83esima posizione dietro Uganda, Paraguay, Sri Lanka e Arabia Saudita, appena davanti a Namibia, Uganda e Burkina Faso. La grande speranza delle liberalizzazioni alimentata dall’esecutivo Monti si è infranta contro lo scoglio di insormontabili opposizioni corporative, subendo prima ritardi e attenuazioni per sfociare poi in pochi provvedimenti di impatto limitato nei servizi pubblici locali e nei trasporti. E nell’agenda pubblica post-elezioni 2013 è passato sullo sfondo il rilancio di concorrenza, liberalizzazioni, deregulation, semplificazioni.
Così nella graduatoria redatta dalla Banca Mondiale sui paesi che offrono le condizioni più favorevoli per l’attività economica l’Italia si colloca al 73esimo posto su 185, ultima tra le nazioni dell’OCSE. Per capacità di far rispettare i contratti siamo relegati al 160esimo gradino, mentre la classifica sul regime fiscale ci vede alla 131esima posizione. Non solo a causa di una pressione tributaria stimata al 68 per cento dei profitti contro una media OCSE del 43, ma anche per le difficoltà e il tempo richiesti a contribuenti e aziende: 269 ore l’anno contro un tasso medio di 176 ore.

Corporazioni professionali, infrastrutture, scuola
A penalizzare le potenzialità dei diversi settori produttivi è poi la loro impronta corporativa. Emblematica la riforma della professione forense approvata agli sgoccioli della passata legislatura e fondata su un’ampia delega normativa e disciplinare all’organizzazione rappresentativa degli avvocati. Gli effetti negativi sul piano della liberalizzazione delle tariffe, della possibilità di creare società tra avvocati, dell’accesso alla carriera, si sono registrati soprattutto nella giustizia civile, decisiva per la ripresa economica del paese.



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