Le piccole imprese italiane non hanno ancora scoperto i vantaggi derivabili dall’applicazione della recente tecnologia che passa per il nome di Intelligenza Artificiale e i rischi per il loro essere sul mercato nel non applicarla. L’analisi di Salvatore Zecchini, economista dell’Ocse
Stando alle rilevazioni dell’Ocse, sembra che le piccole imprese italiane non abbiamo ancora scoperto i vantaggi derivabili dall’applicazione della recente tecnologia che passa per il nome di Intelligenza Artificiale (IA) e i rischi per il loro essere sul mercato nel non applicarla. Per intendersi, si tratta di sistemi di elaborazione (ovvero algoritmi) basati sulla potenza di calcolo dei computer che permettono di inferire da una massa di informazioni tendenze, schemi, modelli per formulare predizioni e perfino prendere decisioni secondo regole predefinite. Sotto lo stesso cappello si articolano diverse tecnologie, come il machine-learning e il deep-learning, che tendono ad imitare il processi cognitivi umani attraverso un processo di apprendimento e correzione.
Un’applicazione di questa tecnologia si ha nell’analisi di big data, che permette di setacciare in breve tempo grandi volumi di dati per estrarne linee di tendenza utili per operare sui mercati, decidere sul marketing, fissare i prezzi, anticipare l’evoluzione della domanda e altro. In questo campo nel 2018 solo il 7% circa delle piccole imprese italiane ha usato questa tecnica, con un grande distacco dalle grandi (30%) e anche dalle medie (12%), ma il distacco tocca anche l’insieme delle imprese, che si colloca tra gli ultimi posti nella graduatoria dei paesi dell’Ocse.
Ovviamente il mondo produttivo è in una fase di rapida trasformazione tecnologica, che lascia margini per colmare i ritardi in tempi ravvicinati e pertanto i risultati di un singolo anno sono poco indicativi sulla futura evoluzione. Resta che la situazione di partenza è relativamente arretrata e lo sforzo richiesto per riportarsi tra le grandi economie molto più intenso. La peculiarità dell’IA, che ne fa un fattore destinato a plasmare l’economia prossima ventura, come la società in generale, sta nella sua applicabilità a qualsiasi campo, in maniera orizzontale a tutti i settori, da ogni paese e tipo di impresa, facendone una tecnologia pervasiva che può conferire vantaggi competitivi e distanziare le imprese più efficienti dal resto, e quindi anche i paesi all’avanguardia nell’applicarla dagli altri.
I vantaggi per le Pmi sono diversi, ma comportano grandi trasformazioni. I settori del trasporto, logistica, commercio al dettaglio, turismo ed automotive possono servirsene per generare maggior valore aggiunto, mentre le attività di ricerca ed innovazione possono raggiungere successi che in altre condizioni richiederebbero tempi ed investimenti più impegnativi. L’IA può portare a un più elevato grado di automazione i processi produttivi ed automatizzare funzioni ripetitive, lasciando più spazio per quelle a maggior intensità di competenza e sapere.
Conduce a realizzare incrementi di produttività del lavoro e a ottenere maggior efficienza nell’organizzazione dell’azienda. In particolare, riduce i costi di funzioni come l’inserimento nelle filiere produttive, la selezione dei fornitori, i controlli di qualità, il marketing, la ricerca della clientela e i rapporti con la stessa, agevola le scelte di finanziamento, migliora la gestione del magazzino scorte e prodotti, facilita l’analisi del mercato e la concezione dei prodotti nella fase prevendita e rende più efficienti i servizi post-vendita. In breve, l’IA aiuta le Pmi a superare gli svantaggi della piccola dimensione e ad accrescere la competitività.
Accanto a questi benefici l’impresa deve tener conto di alcuni rischi connaturati a questa tecnologia. Innanzitutto, la struttura interna dell’algoritmo alla base dell’IA spesso rappresenta un’incognita per l’utilizzatore a causa della sua complessità e perché raramente l’autore la rende visibile. Il parallelo è con il funzionamento della scatola nera con cui le compagnie di assicurazione registrano il comportamento del conduttore di un’automobile senza che questi sappia come funziona. Va aggiunto che se il software applicato nell’IA ha qualche distorsione di struttura, tende ad amplificarle nel fornire i risultati.
La distorsione può provenire anche dall’esterno, ovvero dall’immissione come input di una massa di dati storici che riflettono tra l’altro aspetti negativi di andamenti passati, col risultato che questi vengono colti, incorporati negli schemi decisionali e riprodotti in maggior scala nell’utilizzo automatizzato da parte dell’impresa, come si è visto nel caso di discriminazioni non volute. È importante, quindi, che il fattore umano rappresentato da esperti nel settore eserciti sempre un ruolo di controllo sui risultati dell’applicazione. Un altro rischio può provenire da attacchi informatici in grado di produrre gravi danni. È necessario, quindi, investire nella cybersecurity per prevenirli e contrastarli, con conseguenti costi da mettere in conto.
In generale, il costo complessivo dell’impiego dell’IA può avere un effetto scoraggiante sulla propensione delle piccole imprese ad adottarla, anche perché comporta profondi cambiamenti nella gestione interna dell’azienda e ha un ritorno economico non immediato. Tuttavia, la piccola impresa può acquisire sul mercato i servizi di questa tecnologia da fornitori specializzati senza doversi impegnare in gravosi investimenti e può altresì ottenere dal mercato la massa di dati di cui ha bisogno. Non si può, pertanto, ritenere che la voce costi sia il fattore più rilevante nel disincentivare la diffusione dell’uso dell’IA, mentre esistono altri impedimenti e barriere di maggior peso che tendono a ritardarla.
La barriera culturale è il primo ostacolo che si incontra con i piccoli imprenditori e si manifesta in una loro carente informazione sulla tecnologia, una diffidenza verso lo strumento informatico e una certa resistenza a consentirgli di esplorare dall’interno la sua attività. Vi contribuiscono, in particolare, la scarsità di conoscenze specifiche, la poca disponibilità a modificare l’organizzazione dei processi produttivi e la necessità di investire in funzione complementare nella formazione del personale. Quest’ultimo compito è essenziale specialmente perché gli addetti esercitino giudizio nell’utilizzare il responso delle applicazioni di IA ed evitino rischi con implicazioni legali. Anche la mancanza di attenzione sulla gestione dei dati che si ottengono nell’esercizio dell’attività funge da ostacolo, in quanto si richiede una gestione completa dell’informazione dalla raccolta alla elaborazione, alla protezione, fino al suo utilizzo per valorizzarla in funzione della competitività.
Ovviamente, anche nel caso dell’adozione dell’IA, come per le altre attività, la carenza di accesso ad adeguate fonti di finanziamento rappresenta un impedimento sostanziale. Ad esso si aggiunge la necessità di disporre di infrastrutture di rete idonee per un uso intensivo ed ultraveloce delle connessioni. Per superare questi impedimenti si rivela essenziale l’intervento del soggetto pubblico in più direzioni con una combinazione di strumenti non limitata ai soliti incentivi. Sul piano culturale è opportuno promuovere una campagna di informazione e sensibilizzazione delle Pmi sull’importanza di comprendere le grandi opportunità dischiuse da questa tecnologia e quindi di investirvi risorse. Dal canto suo, l’investimento pubblico nelle reti avanzate di trasmissione dati è una precondizione necessaria, che va attuata rapidamente in quanto rende possibile ogni altro passo in avanti.
La protezione dei dati è una materia che richiede una regolamentazione appropriata, ovvero tale da non disincentivare la raccolta dati sulle attività commerciali e d’investimento, ma in grado di offrire soluzioni a problemi quali stabilire a chi spetta la titolarità dell’informazione, di impedirne un uso privilegiato, di aprirne l’accesso a certe condizioni e di proteggerla sanzionando attacchi, come pure usi discriminatori. Il supporto pubblico giova anche nel finanziamento degli investimenti fissi e della formazione del personale da specializzare, nel potenziamento dell’offerta di corsi di livello universitario, nell’agevolare i servizi di assistenza alle piccole imprese mediante mentoring, e nel promuovere approcci standard a cui le piccole imprese possono attingere nell’adottare l’IA.
In queste direzioni si è mosso il governo Conte sulla spinta dell’iniziativa di Bruxelles per un piano coordinato di scala europea e il suo impegno si è già concretizzato nella costituzione di un gruppo di 30 esperti a cui ha affidato il compito di fare raccomandazioni e proposte d’azione. Ne è seguito un rapporto che ha fatto da base per le autorità nel tracciare la Strategia Nazionale per l’IA, documento questo aperto alla consultazione pubblica per gli opportuni aggiustamenti prima della definizione ultima. La Strategia non manca di toccare quasi tutti gli aspetti della diffusione di questa tecnologia tra le Pmi, ma rimane sul piano generico degli intenti, essendo priva della definizione degli obiettivi operativi da raggiungere, delle loro scadenze temporali, della quantificazione degli strumenti da impiegare, dei compiti da assegnare alla rete di supporto sul territorio e della tabella di completamento delle infrastrutture.
Senza queste specificazioni, non si può considerare una Strategia ma solo un programma d’azione. Su alcuni aspetti occorre anche fare chiarezza: ad esempio, la rete di assistenza sul territorio dovrebbe andare oltre i competence centers, i clusters e i digital innovation hub già in cantiere o operativi. Un approccio pro-attivo si fonda su una rete più capillare, con specializzazioni mirate e capace di adeguarsi alle esigenze delle Pmi. Si vedrà, ad ogni modo, se le autorità sapranno dare esecuzione ai loro propositi con la puntualità e tempestività di azioni sul campo, che sono condizione essenziale per il successo del programma.