L’indecoroso spettacolo è reso possibile dalla ignoranza istituzionale che impera in molti ambienti e, in particolare, tra gli operatori dei nostri media. L’analisi di Massimo Balducci
Il tira e molla tra Stato e Regioni per rimandarsi il cerino della responsabilità delle indecisioni impopolari non è dovuto solo a meschini calcoli di convenienza politica. Questo indecoroso spettacolo è reso possibile dalla ignoranza istituzionale che impera in molti ambienti e, in particolare, tra gli operatori dei nostri media.
L’Italia non è uno Stato Federale, malgrado l’utilizzo indecoroso fatto, negli ultimi decenni, di questo termine dalla politica e dai massa media. L’Italia è uno Stato Regionale. La differenza non è terminologica. La differenza è sostanziale.
Nella architettura federale, le entità federate (che sono i veri Stati) hanno il monopolio del diritto privato e dell’utilizzo della costrizione. In Italia è solo lo Stato ad avere il monopolio delle regole proprie del diritto privato e dell’utilizzo della forza. Il che significa, a livello operativo, che il potere coercitivo di imporre limitazioni alle libertà è dello Stato (che al livello territoriale opera tramite l’ufficio deconcentrato del Prefetto). Tale potere può essere esercitato in forma delegata (cioè sotto la supervisione dello Stato e dei suoi prefetti) dai sindaci, intesi nella loro funzione di “ufficiali di governo”.
Per rimanere con i piedi per terra: quando, a mo’ di esempio, i tecnici di una Asl rilevano delle gravi carenze igieniche in un esercizio commerciale, inoltrano una relazione al Sindaco il quale emana poi l‘ordinanza di chiusura dell’esercizio. La funzione di responsabile dell’igiene è in capo ai sindaci, nella loro qualità di ufficiali di governo.
Secondo la Legge 833 del 1978 (la base del nostro sistema sanitario nazionale) le Usl sono governate dal sindaco (nel caso di una Usl il cui territorio si esaurisca nell’ambito di un comune) o dal collegio dei Sindaci ricompresi nel territorio della Usl (unità sanitaria locale), nel caso in cui la Usl si estenda su più comuni.
La confusione è iniziata quando nel 1992 (con la legge 502)l’allora ministro della sanità De Lorenzo volle dare un’impronta efficientistica alle Usl (che si erano dimostrate poco efficienti) trasformandole in aziende. Da qui inizia la confusione istituzionale ingenerata da una riforma che dava più peso alla terminologia a valenza ideologica (il mito dell’azienda) che non alla chiarezza della architettura istituzionale. In effetti le Asl vengono ancora oggi spesso definite come Aziende Usl. Le Asl , che se sostanzialmente dipendono dalla Regione per i finanziamenti e per le nomine dei loro vertici, sono ancora oggi governate, seppur solo formalmente, dal collegio dei sindaci.
Al di là della parziale confusione ingenerata dalla legge 502/1992, i presidenti delle Regioni (che non sono governatori) non sono ufficiali di governo come lo sono i Sindaci. Dubito, inoltre, che il presidente del Consiglio dei ministri possa loro delegare, anche temporaneamente, un potere coercitivo per sua natura statale. Sopra tutto se si pensa che il nostro premier sta esercitando un potere di limitazione delle libertà costituzionali, temo in violazione della Costituzione (che prevede che tali limitazioni possano essere previste solo per legge) sulla base di un atto avente rango di legge (il decreto legge n. 19 del 2020) che, secondo me viola la Costituzione, di conferimento ad un funzionario (il presidente del Consiglio dei ministri) del potere di limitare le libertà costituzionali, laddove tali libertà possono essere limitate solo dalla legge.
Qui sinceramente è da febbraio che non riesco a capire perché si sia voluta intraprendere una via così perigliosa quando sarebbe stato possibile limitare le libertà costituzionali con un decreto legge (che entra in vigore immediatamente come il Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri) ma che ha rango di legge ed è sottoposto all’approvazione del Parlamento entro i sessanta giorni successivi alla sua pubblicazione in Gazzetta.
Il mio è solo un dubbio che esprimo umilmente, visto che la via è stata prescelta da un Presidente del Consiglio che è professore ordinario di diritto e che il decreto legge 19 del 2020 è stato avallato da un Presidente della Repubblica che è anche presidente emerito della Corte Costituzionale.
Non vorrei che la vittima di questo polverone fosse la regionalizzazione della sanità e che qualcuno se ne approfittasse per riportare la sanità sotto il controllo diretto dello Stato Centrale. L’accentramento è una buona soluzione per problemi semplici, per i quali non è difficile reperire “la soluzione”. Quando i problemi sono complessi l’accentramento è una risposta immatura che ignora la complessità del problema. Che cosa sarebbe successo se, a febbraio, tutta l’Italia avesse adottato, non la strategia del Veneto o quella della Toscana, ma la strategia della Lombardia?
È generalmente riconosciuto che il Paese le cui istituzioni stanno rispondendo meglio alla crisi determinata dal Covid-19 è la Germania. Orbene in Germania non ci sono solo 16 sistemi sanitari diversi (uno per ognuno dei 16 Lander) ma la gestione concreta della sanità è in mano a più di 200 Landeskreise (enti gestiti dai sindaci dei comuni cui compete la fornitura di servizi tecnicamente complessi) che possono adeguare la risposta alle specifiche realtà locali. L’esperienza tedesca mi fa pensare che, probabilmente, in Italia l’interlocutore più adeguato del governo, quando si tratti di limitazione delle libertà, potrebbero essere le Aziende Usl ancora formalmente governate dai Sindaci, nella loro qualità di ufficiali di governo, piuttosto che le Regioni.