Mai come oggi appare necessaria la costruzione di un nuovo Titolo V, che tenga conto della stagione attuale del processo di integrazione europea e della progressiva crescita anche istituzionale delle Regioni, contestualmente ai tumultuosi sviluppi della pandemia. L’analisi di Francesco D’Onofrio, costituzionalista e già ministro della Pubblica istruzione
L’approvazione dell’ultimo Dpcm che ha improvvisamente creato l’Italia a tre colori, ha posto in evidenza tre questioni fondamentali: la prima concerne il rapporto tra salute e lavoro; la seconda ha riguardato e riguarda i rapporti tra Stato e Regioni, senza peraltro trascurare l’aspetto fondamentale del rapporto tra regioni e comuni; la terza concerne il rapporto tra decentramento nazionale e processo di integrazione europea.
Per quanto riguarda la prima questione, appare di tutta evidenza il fatto che mentre l’eguaglianza può anche richiedere, per un rispetto rigoroso di essa, tempi non necessariamente lunghi e programmabili; il lavoro, soprattutto se si traduce in attività imprenditoriali, richiede comprensibilmente tempi necessariamente raccordati alla produzione e al commercio di beni, soprattutto se si considerano le attività lavorative pubbliche (in particolare quelle relative alla attività organizzativa burocratica) rispetto a quelle private. Per quanto riguarda infine la terza questione viene in considerazione in particolare il fatto che proprio in conseguenza della pandemia il processo di integrazione europea ha finito con l’assumere decisioni senz’altro fondamentali, delle quali occorre tener conto proprio in momento come questi.
RAPPORTO TRA EGUAGLIANZA E LAVORO
Tutta l’esperienza italiana, in particolare dalla Costituzione repubblicana in poi, ha cercato un punto di equilibrio tra eguaglianza e lavoro. Hanno spesso finito con il prevalere ragioni politiche concernenti il risultato elettorale delle misure di volta in volta adottate. Ma non vi è dubbio che mentre le forze sociali organizzate (in particolare sindacati operai da un lato, e organizzazioni imprenditoriali datoriali dall’altro) hanno operato e operano cercando di raccordare la tutela dei propri iscritti ai tempi della produzione di beni, i soggetti politici (partiti o movimenti che siano) hanno costantemente raccordato i propri orientamenti alle diverse scadenze elettorali (locali, regionali, nazionali, europee) che le hanno impegnate nel corso degli anni.
Lo scontro tra principio di eguaglianza e tutela del lavoro ha pertanto finito con il caratterizzare parte molto significativa delle proteste, ripetute e comprensibili, che hanno caratterizzato l’accoglienza dell’ultimo Dpcm da parte delle più svariate realtà sociali di questa o quella parte d’Italia.
Queste proteste hanno infatti posto in evidenza l’estrema difficoltà difronte alla quale si sono venute a trovare le diverse realtà lavorative di fronte alla formale affermazione che ciascuna attività finiva e finisce con l’essere coinvolta nella potenzialità nel passaggio ogni 15 giorni dall’uno all’altro dei tre colori che erano stati e sono immaginati non in riferimento alle attività produttive, ma a condizioni complessive del sistema sanitario; questo infatti appare pertanto sempre più condizionato dal principio di eguaglianza nella tutela della salute.
Questa questione inerisce infatti a profili fondamentali di strategia generale, all’interno dei quali è del tutto comprensibile la ricerca di un punto di equilibrio tra eguaglianza e lavoro. Ma questo punto di equilibrio richiede necessariamente una qualche comune strategia politica generale. Le ragioni che hanno dato vita al governo in carica, sono purtroppo del tutto lontane proprio da una qualche comune strategia politica concernente l’equilibrio tra eguaglianza e lavoro, sì che appare del tutto improbabile che le questioni della tutela della salute (pubblica e privata) possano essere ritenute sufficienti da sole da parte di tutti i cittadini italiani.
I RAPPORTI TRA STATO E REGIONI
Non può pertanto sorprendere che la formazione e la primissima attuazione dell’ultimo Dpcm sia stato caratterizzato da un molto complicato rapporto tra Stato da un lato e Regioni dall’altro. Se infatti lo Stato appare essersi fatto carico dell’accertamento scientifico delle condizioni sanitarie di ciascuna Regione, alla luce dei numerosissimi elementi ritenuti costitutivi delle condizioni generali della tutela della salute e dei connessi rischi di contagio, le condizioni del lavoro sono apparse e compaiono molto differenti da Regione a Regione, e da settore lavorativo ad altro settore lavorativo.
Da questo punto di vista si può dunque affermare che appare del tutto velleitaria la pretesa di distinguere i tre colori sia in termini di gravità potenziale di rischi di contagio, sia in termini del rapporto tra eguaglianza e lavoro.
Una visione fortemente centralistica dello Stato può infatti tuttalpiù trovare coerenza in riferimento al principio di eguaglianza su tutto il territorio nazionale, ma essa appare sempre più lontana dalla percezione delle differenti, storiche e culturali, realtà lavorative di ciascuna parte del territorio nazionale. Basti considerare a tal riguardo l’articolazione anche profondamente differenziata tra i diversi settori produttivi, agricoli, industriali, commerciali che caratterizzano le diverse realtà del nostro Paese.
IL NEXT GENERATION EU
La pandemia ha finito con il coinvolgere direttamente le principali istituzioni europee. Stiamo assistendo infatti a quello che molto probabilmente sarà ricordato come l’inizio di una fase essenziale del processo di integrazione europea. Siamo infatti in presenza di una connessione sempre più stretta tra principio di eguaglianza e lavoro da un lato, e articolazioni territoriali substatuali dall’altro: entrambi stanno fortemente sollecitando la costruzione dell’edificio europeo in termini destinati a produrre conseguenze molto rilevanti anche all’interno di ciascuno Stato nazionale.
Siamo dunque in presenza di elementi radicalmente nuovi e fondamentali della riflessione necessaria concernente le conseguenze dell’ultimo Dpcm. Allorché infatti si diede vita al testo originario del Titolo V, stavano nascendo le Regioni a Statuto speciale, e dovevano ancora nascere quelle a Statuto ordinario. Quando nasce, nel 2001, il nuovo Titolo V, siamo in presenza di un processo di integrazione europea che ancora non conosceva gli effetti pratici dell’euro, e le Regioni a Statuto ordinario stavano cercando con grande difficoltà un luogo istituzionale accettabile tra le antiche autonomie locali da un lato e lo Stato dall’altro.
Mai come oggi pertanto appare necessaria la costruzione di un nuovo Titolo V, che tenga conto della stagione attuale del processo di integrazione europea e della progressiva crescita anche istituzionale delle Regioni, contestualmente ai tumultuosi sviluppi della pandemia. La ricerca di un qualche luogo istituzionale di intesa tra la maggioranza governativa e le opposizioni è stata ripetutamente richiesta anche dal Presidente della Repubblica.
È necessario quindi saper collocarlo al centro dell’attuale dibattito politico: un nuovo Titolo V della Costituzione?