La spiegazione ufficiosa dell’assenza dell’Italia alla videoconferenza organizzata martedì da Emmanuel Macron è che il vertice era ristretto ai Paesi colpiti dagli attentati degli ultimi anni e non anche a quelli di primo approdo, come Italia, Spagna e Grecia. Ma a voler pensare male…
Gli attentati delle scorse settimane e i crescenti segnali di preoccupazione sul fronte dell’estremismo islamico stanno risvegliando l’Europa, comprese quelle nazioni che non sanno garantire la sicurezza in casa propria e cercano la soluzione accusando (indirettamente) gli altri. La spiegazione ufficiosa dell’assenza dell’Italia alla videoconferenza organizzata martedì da Emmanuel Macron è che il vertice era ristretto ai Paesi colpiti dagli attentati degli ultimi anni e non anche a quelli di primo approdo, come Italia, Spagna e Grecia. Strano, perché il 17 agosto 2017 a Barcellona furono 16 le vittime di un attentato. A voler pensare male, visto che erano presenti i leader di Germania, Austria e Olanda oltre ai presidenti della Commissione europea e del Consiglio europeo, si è voluto discutere di alcune proposte da portare al Consiglio europeo del 10 dicembre sulle quali non è detto che le nazioni in prima linea sul fronte dell’immigrazione siano del tutto d’accordo.
L’AGENDA DI MACRON
L’agenda di Macron è ricca di argomenti e ancora povera di dettagli: riforma dello spazio Schengen; rafforzamento delle banche dati, dello scambio di informazioni e delle “politiche penali”; completamento del Pnr, Passenger name record, sui nominativi dei passeggeri degli aerei; un Consiglio di sicurezza interno “che valuterà e sanzionerà gli Stati che non proteggono sufficientemente le frontiere europee”: un predecessore di Macron, Charles De Gaulle, rispose “vasto programma” a quel sostenitore che gli urlò “morte agli imbecilli”.
Il punto nevralgico è il controllo delle frontiere esterne e, se anche Macron non l’ha citato, è fresco il ricordo dell’attentato di Nizza compiuto da Brahim Aoussaoui sbarcato a Lampedusa. Che l’Italia abbia espulso 507 presunti terroristi dal gennaio 2015 mentre la polizia francese non mette neanche piede nelle banlieue è un dettaglio. Il presidente francese ha ragione nel sostenere che qualunque buco alle frontiere è un rischio per la sicurezza di tutti, ma non è chiaro come abbia intenzione di modificare il trattato di libera circolazione firmato trent’anni fa: tutti sono d’accordo sul rafforzare i controlli alle frontiere esterne, ma il peso non può ricadere solo su chi è bagnato dal mare.
Nel frattempo venerdì 13 novembre si terrà un Consiglio europeo per gli Affari interni nel quale si discuterà certamente di flussi migratori di cui hanno parlato al telefono i ministri Luciana Lamorgese e Gerald Darmanin: Italia e Francia intendono condividere una strategia di difesa delle frontiere esterne, anche se il colloquio è avvenuto nel giorno del mancato invito a Giuseppe Conte da parte di Macron.
FOREIGN FIGHTER E IMAM
Il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, ha rilanciato il problema dei combattenti stranieri rientrati da Siria e Iraq e di quelli che non sono riusciti a partire. Innanzitutto Kurz dovrebbe guardare in casa propria dove l’attentatore di Vienna, che fu respinto dalla Turchia proprio perché voleva andare a combattere, era stato condannato a 22 mesi e liberato dopo sette per un programma dedicato al reinserimento dei giovani e grazie alle bugie da lui raccontate alla magistratura. Il tema dei foreign fighter c’è tutto e visto che i combattenti che torneranno in libertà sono “una bomba a orologeria”, Kurz ritiene che bisogna “ridurre la libertà di queste persone”. Su quali basi giuridiche se hanno scontato una pena?
A questa domanda si può agganciare il tema della formazione degli imam perché Macron vorrebbe creare apposite scuole di formazione e certificazione, proposta sulla quale ci sono state ironie in Italia. È un argomento da approfondire anche perché in Parlamento è in discussione, ripresentato da Emanuele Fiano (Pd), il testo della legge D’Ambruoso-Manciulli sulla deradicalizzazione che fu approvato da un solo ramo del Parlamento nella scorsa legislatura. Un testo modificabile se si vuole, ma indispensabile e possibilmente da approvare in modo bipartisan.
LA PROPOSTA DI DI MAIO (E DEL BLOG DELLE STELLE)
La procura europea antiterrorismo è la proposta che Luigi Di Maio ha rilanciato rispondendo al question time alla Camera. Il ministro degli Esteri ipotizza un “sistema europeo di prevenzione degli attacchi interloquendo con gli Stati ritenuti più a rischio e utilizzando in modo più efficiente Eurojust, Europol e Frontex”. Farsi carico delle proprie frontiere significa, ha aggiunto, “finanziare i rimpatri e cambiare davvero Dublino”: è questa, non da ora, la posizione ufficiale dell’Italia perché le prime proposte di modifica del regolamento non aiutano affatto i paesi di primo approdo. A proposito di efficienza, il livello degli investigatori italiani è dimostrato dal fatto che dal 1° dicembre l’Europol avrà un nuovo capo dell’antiterrorismo con Claudio Galzerano, finora direttore del Servizio per il contrasto dell’estremismo e del terrorismo esterno della direzione centrale della Polizia di prevenzione, che ha superato una durissima selezione.
Sul Blog delle stelle è stato pubblicato un elenco di proposte che, oltre a quanto detto da Di Maio, comprende un trattato per la sicurezza che includa l’intelligenza artificiale e un codice europeo per la sicurezza dei trasporti. Bisognerà capire che cosa intende il Movimento quando su Europol propone “un codice di cooperazione di polizia” dell’Ue.
Sullo sfondo resta la diplomazia. La prevenzione delle forze di polizia e dell’intelligence è evidente, ma non è sufficiente se l’Italia non riuscirà a ritagliarsi un ruolo a livello europeo. Restare ai margini di certe riunioni è un pessimo segnale: l’idea di Macron, che vorrebbe attuare quell’agenda nel primo semestre 2022 a presidenza francese, conferma un protagonismo francese a 360 gradi che l’Italia farebbe bene a frenare. La relazione del Copasir sugli asset strategici ne è prova lampante.