La violenza ha il volto della paura, del silenzio, della solitudine.
Donne abusate, sempre più oggetto di violenze fisiche e psichiche. Donne vessate, mortificate, impaurite. Donne frustrate e demotivate, con talenti non riconosciuti.
Tante storie per riflettere il 25 novembre, “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. Quest’anno con un’aggravante. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha “bocciato” nuovamente l’Italia, responsabile di ostacolare l’accesso alla giustizia alle donne vittime di violenza.
Il nostro Paese resterà sotto vigilanza rafforzata per dimostrare di non essere inadempiente alla Convenzione di Istanbul e dovrà fornire, entro il 31 marzo del 2021, “informazioni sulle misure adottate o previste per garantire un’adeguata ed efficace valutazione e gestione del rischio”. In particolare, viene richiesto dal Comitato dei Ministri un sistema completo di raccolta dati su ordini di protezione, numero delle denunce ricevute, tempi medi di risposta delle autorità e misure di protezione attuate.
Il Comitato, pur avendo espresso apprezzamento per l’introduzione della legge 69/2019 (cd. Codice rosso) che rafforza il quadro giuridico globale, ha, dunque, valutato negativamente i dati allarmanti e le risposte della giustizia rispetto alle denunce. Inoltre, l’Italia dovrà impegnarsi di più anche sul fronte della prevenzione per supportare i Centri antiviolenza assicurando adeguate risorse.
Il 45,3% delle vittime ha paura per la propria incolumità e il 72,8% non denuncia il reato subito. Nel 93,4% dei casi la violenza si consuma tra le mura domestiche. Nel 64,1% si riportano anche casi di violenza assistita da minori, un male invisibile, con effetti a breve e a lungo termine.
Verso la fine di un anno 2020 che ha mutato la geografia umana del mondo senza distinguere tra ceti sociali, colore della pelle e latitudini, ricordiamo così la ricorrenza della Giornata internazionale.
Con le tante le organizzazioni e gli innumerevoli contesti che si occupano, con sensibilità e attenzione, di un tema sempre attuale. Anche in tempo di pandemia. Nel periodo più buio del totale isolamento, in Italia, la violenza è aumentata del 60% nel “focolare” domestico. Negli 87 giorni di lockdown per l’emergenza Covid (9 marzo – 3 giugno 2020), 44 donne le vittime. Ogni due giorni una donna è stata uccisa in famiglia, un dato triplicato rispetto ai periodi di “normalità”.
E mentre persistono pregiudizi e stereotipi, antichi e moderni, in una sottile e pervasiva asimmetria di potere e diversità di genere, di fronte a nuove identità e nuovi ruoli, il valore delle donne nel lavoro si afferma sempre di più, in Italia e nel mondo.
Nel 2020, al femminile i Premi Nobel per la chimica, la Fisica e la Letteratura e, dopo 700 anni, prima donna Rettore all’Università La Sapienza di Roma. Insieme a tante altre posizioni, nelle alte istituzioni, nell’economia, nella sanità e nella ricerca e nel mondo del lavoro “comune”, ricoperte da “donne che fanno la differenza”.
Costante l’impegno quotidiano femminile nella società, nel lavoro, in famiglia, nel volontariato, nelle comunità. Dalle proporzioni inimmaginabili. Donne vere che agiscono con concretezza, senza clamore. Riferimenti certi e forti anche in tempo di Covid, per risolvere criticità e per allontanare paure e sfiducia dando speranza.
Le donne più consapevoli, più diligenti nei comportamenti di protezione dal virus, secondo gli osservatori, e con maggiore capacità di resilienza anche nelle giovani generazioni (tra i 18 e i 35 anni), come risulta da un’indagine condotta dall’Osservatorio dell’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica.
Donne che operano attivamente mentre riflettono sul drammatico presente e sull’incerto futuro ma guardando avanti con forza. In un momento in cui, nel pieno della seconda, già si teme una terza ondata della terribile pandemia. Nello sgomento generale per un evento imprevedibile e, per molti versi, ingovernabile, mantengono stretto, come possono, il desiderio e la voglia di superare la crisi e lo sconforto, combattendo la disillusione della ripresa e l’oscuramento delle prospettive per l’avvenire.
Nella prima fase della pandemia, eravamo tutti insieme catarticamente uniti da canti, musica e solidarietà. Per tanti, il ritorno al passato visto come una sorta di ricompensa per comportamenti individuali responsabili.
La vulnerabilità, nell’attuale fase, è ora più profonda. “Trauma da recidiva”, dicono gli esperti. Secondo alcune ricerche, colpirebbe maggiormente i giovani adulti (25-34 anni) e gli anziani, più gli uomini che le donne. Un disagio psico-sociale da isolamento e da perdita di sicurezza che influirà sulle nostre vite e sulle modalità di sentire e di stare insieme anche dopo la fine dell’emergenza, che appare ancora lontana.
Una “tristezza globale”, come è stata definita, un “contagio” che si insinua, subdolamente, nell’inconscio. Nel secolo della solitudine. Globalizzata, severa, dolorosa, amplificata dalla compulsività di un mondo virtuale che sovrasta, senza annullarle, le esigenze reali.
E ora? A quali risorse attingere?
Alla ricerca di un’interiorità profonda e, forse, di un’umanità perduta da tempo. Ora, con la consapevolezza di non poterne fare a meno. È la risposta personale che può vincere sul virus, accogliendo e restituendo speranza. Alla ricerca di un umanesimo planetario che unisca tutti. Tutto è connesso, tutto è relazione.
Nel tempo della sospensione, anche del sorriso, il messaggio del cuore e della condivisione, della vicinanza e della solidarietà arrivano più forti e incisivi.
È “Il tempo del cuore”. Un sentire non “astratto”, nebuloso, bensì capace di attraversare insicurezza, fragilità, squarciare solitudini e dare luce ad un futuro tutto da immaginare e ricostruire.
Un sentire dirompente di cui, oggi, si ha bisogno in ogni settore. Dalla politica all’economia, dalla scuola al mondo del lavoro. Un motore per non fermare la vita, capace di reggere l’urto con una realtà che disarma. È l’ora della solidarietà anche tra le Istituzioni.
Abbiamo tracciato una linea con il passato? Scardinato sovrastrutture e compreso il valore dell’essenziale per ritrovarci e fare leva su noi stessi e sui legami veri?
Nella tempesta Covid, le donne possono guardare con una nuova visione alla propria identità affiancate dagli uomini più consapevoli del valore femminile. Perché, forse, avremo ormai tutti compreso che non solo il bisogno di tenerezza, di condivisione e di affetto, ma anche il pieno riconoscimento del ruolo della donna non è una “questione femminile” ma è la scommessa per guardare all’intero sistema della vita e del lavoro in una luce diversa. È il fulcro del benessere sociale ed economico, base per un mondo migliore.
Sistema educativo, in famiglia come nella scuola, denuncia delle violenze subite, rifiuto di aspettative omologate a modelli predefiniti che vedono la donna sottomessa, adeguamento delle normative per un’effettiva parità di genere, sono strumenti sociali e presupposti fondamentali.
Una grande prova per il mondo. Un cambiamento epocale per uomini e donne, per un diverso modo di esistere cancellando modelli di individualismo narcisista. Un richiamo al “noi”, alla collettività, per curare le ferite di oggi con l’occhio al futuro. “Ha da passà ‘a nuttata!”, nella saggezza della commedia Napoli milionaria di Eduardo De Filippo, è di grande attualità. La notte passerà di certo, ma l’alba ci troverà diversi?
Nel giorno che celebra la lotta alla violenza sulle donne, teniamo, dunque, vive, le nostre irrinunciabili qualità femminili. Custodiamo l’energia possente del sentire, la forza dell’amore e dell’accoglienza, la cura e il rispetto soprattutto verso noi stesse. Insegniamolo ai figli e agli studenti, condividiamolo con i nostri compagni. Ascoltiamoci senza demordere, con la gentilezza dell’anima. Un tratto che non ha genere ma che possiamo e dobbiamo alimentare con decisa determinazione.
Non permettiamo ad alcuno di mortificare la preziosa identità e unicità dell’esser donna. Prepariamo il futuro della rinascita con resilienza, pazienza, competenza, tenerezza, creatività. Attraversando la tempesta senza fuggire e trovando nuovi approdi.
Usciamo allo scoperto, dal silenzio e dalla paura. Con coraggio. Dalla “tana” di una comune fragilità che non ha genere. Non solo il 25 novembre! Sempre.