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L’economia di Francesco si chiama “inclusione”

“Urge prendere atto responsabilmente del fatto che l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista e colpisce nostra sorella Terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi”. Il potente videomessaggio di Bergoglio a Economy of Francesco letto da Riccardo Cristiano

Francesco dedica agli esclusi il suo intervento di chiusura del grande simposio internazionale di Assisi sull’economia, con giovani economisti, imprenditori, ricercatori, analisti economici. Se gli esclusi sono esclusi allora sono fuori dalla società in cui vivono. Questo non è più possibile: devono essere inclusi, ma non a parole, nei fatti. E tra gli esclusi, non certo a sorpresa, ha citato, con i poveri, “la nostra sorella terra”. A Roma qualche “dominazionista” potrebbe aver storto la bocca, ma ad Assisi, la città del santo di “fratello sole, sorella luna” no.

Nel videomessaggio l’esordio è potente: “Sapete che urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista e colpisce nostra sorella Terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi. Vanno insieme: tu spogli la terra e ci sono tanti poveri esclusi. Essi sono i primi danneggiati… e anche i primi dimenticati”. Cambiare registro vuol dire scegliere una prospettiva che – comune dire – “escluda l’esclusione”. L’esclusione va di pari passo con l’indifferenza e Francesco estrae dalla sua memoria argentina un ricordo che fa riflettere, soprattutto se riferito a esclusione di differenza.

Il papa ha ricordato quando in occasione di una visita nelle periferie di Buenos Aires lo portarono a vedere un quartiere chiuso: era circondato da mura e all’interno c’erano case, ville, palazzi”. Questa vita chiusa dentro un quartiere chiuso non può che chiudere, rendere indifferenti e Bergoglio, ricordando quel quartiere chiuso, ha chiesto: “Ma io ti domando: il tuo cuore è come un quartiere chiuso?”.

Il collegamento con l’esclusione appare evidente. Ed ecco allora il patto che propone ai giovani chiamati da tutto il mondo ad Assisi: “La gravità della situazione attuale, che la pandemia del Covid ha fatto risaltare ancora di più, esige una responsabile presa di coscienza di tutti gli attori sociali, di tutti noi, tra i quali voi avete un ruolo primario: le conseguenze delle nostre azioni e decisioni vi toccheranno in prima persona, pertanto non potete rimanere fuori dai luoghi in cui si genera, non dico il vostro futuro, ma il vostro presente. Voi non potete restare fuori da dove si genera il presente e il futuro. O siete coinvolti o la storia vi passerà sopra”.

I giovani devono diventare protagonisti del presente e così cambiare strada e rendere possibile una nuova cultura, un cambiamento che richiede gruppi dirigenti capaci di affrontare i problemi senza restarne prigionieri: “Abbiamo bisogno di un cambiamento, vogliamo un cambiamento, cerchiamo un cambiamento. Il problema nasce quando ci accorgiamo che, per molte delle difficoltà che ci assillano, non possediamo risposte adeguate e inclusive; anzi, risentiamo di una frammentazione nelle analisi e nelle diagnosi che finisce per bloccare ogni possibile soluzione. In fondo, ci manca la cultura necessaria per consentire e stimolare l’apertura di visioni diverse, improntate a un tipo di pensiero, di politica, di programmi educativi, e anche di spiritualità che non si lasci rinchiudere da un’unica logica dominante. Se è urgente trovare risposte, è indispensabile far crescere e sostenere gruppi dirigenti capaci di elaborare cultura, avviare processi – non dimenticatevi questa parola: avviare processi – tracciare percorsi, allargare orizzonti, creare appartenenze… Ogni sforzo per amministrare, curare e migliorare la nostra casa comune, se vuole essere significativo, richiede di cambiare gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società. Senza fare questo, non farete nulla”.

Per riuscirci occorre il dialogo, l’incontro, la disponibilità a capirsi, la cultura dello scarto invece esclude le altre visioni, le altre proposte. Alla base di questa visione innovativa deve tornare l’idea di bene comune: “Questo esercizio di incontrarsi al di là di tutte le legittime differenze è il passo fondamentale per qualsiasi trasformazione che aiuti a dar vita a una nuova mentalità culturale e, quindi, economica, politica e sociale; perché non sarà possibile impegnarsi in grandi cose solo secondo una prospettiva teorica o individuale senza uno spirito che vi animi, senza alcune motivazioni interiori che diano senso, senza un’appartenenza e un radicamento che diano respiro all’azione personale e comunitaria”.

Questo spirito “animatore” deve portare alla fine dell’esclusione di quel soggetto centrale, i poveri. Anche loro hanno le carte in regola per sedere al tavolo del confronto, per non essere esclusi, come Francesco ha fatto incontrando i movimenti popolari. Qui il papa ha citato una massima, “tutto per il popolo, niente con il popolo” o attraverso il popolo- a seconda delle traduzioni, senza dire il nome del grande pensatore settecentesco a cui è attribuita ma per indicarla come ispiratrice di quel dispotismo illuminato che evidentemente invita a respingere: “Con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. State attenti a questo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori”.

Ecco dunque che il patto appare finalizzato a creare l’inclusività: “È tempo, cari giovani economisti, imprenditori, lavoratori e dirigenti d’azienda, è tempo di osare il rischio di favorire e stimolare modelli di sviluppo, di progresso e di sostenibilità in cui le persone, e specialmente gli esclusi (e tra questi anche sorella terra), cessino di essere – nel migliore dei casi – una presenza meramente nominale, tecnica o funzionale per diventare protagonisti della loro vita come dell’intero tessuto sociale. Questo non sia una cosa nominale: esistono i poveri, gli esclusi… No, no, che quella presenza non sia nominale, non sia tecnica, non funzionale. È tempo che diventino protagonisti della loro vita come dell’intero tessuto sociale. Non pensiamo per loro, pensiamo con loro”.

Ci sarebbe ancora molto da dire, ma questa esortazione ai giovani imprenditori, economisti, analisti presenti non può essere omessa, visto che riguarda la proposta di uno sviluppo umano integrale: “La prospettiva dello sviluppo umano integrale è una buona notizia da profetizzare e da attuare – e questi non sono sogni: questa è la strada – una buona notizia da profetizzare e da attuare, perché ci propone di ritrovarci come umanità sulla base del meglio di noi stessi: il sogno di Dio che impariamo a farci carico del fratello, e del fratello più vulnerabile. La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente – la misura dell’umanità –. Questo vale per il singolo come per la società”; misura che deve incarnarsi anche nelle nostre decisioni e nei modelli economici.

Come fa bene lasciar risuonare le parole di San Paolo VI, quando, nel desiderio che il messaggio evangelico permeasse e guidasse tutte le realtà umane, scriveva: “Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. […] – ogni uomo e tutto l’uomo! –. Noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera”.



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