Stefano Vespa spiega perché ogni arresto, come l’ultimo in Calabria, è importante. Sono sparsi qua e là, potenzialmente molto pericolosi e sempre più spesso individuati e arrestati anche grazie alla collaborazione internazionale
Ogni tanto in Italia spunta una “mollichina” jihadista. Sono sparse qua e là, potenzialmente molto pericolose e sempre più spesso individuate e arrestate anche grazie alla collaborazione internazionale. Ed è il caso di Domenico Giorno, 42 anni, di Luzzi (Cosenza), che si stava addestrando da solo per preparare attentati.
Anche se gli inquirenti non hanno la prova che stesse per passare all’azione, pur essendone perfettamente in grado, nella sua casa sono stati trovati manuali per la realizzazione di ordigni, tutorial su come si conducono operazioni terroristiche, video e immagini di esecuzioni eseguite dall’Isis, riviste dello stesso Stato islamico e di Al Qaeda oltre a documenti in arabo prodotti dall’arrestato che aveva imparato bene quella lingua.
L’operazione “Miraggio” è stato coordinata dalla Direzione distrettuale di Catanzaro e condotta dalla Digos di Catanzaro e Cosenza, dalla Polizia postale e dal Servizio per il contrasto all’estremismo esterno della Direzione della Polizia di prevenzione. L’input è arrivato da una segnalazione internazionale sull’utilizzo di una piattaforma digitale in lingua araba che propaganda il terrorismo jihadista. Le intercettazioni hanno confermato che Giorno utilizzava piattaforme come Telegram, Rocket Chat e Riot partecipando a gruppi jihadisti chiusi. Il materiale sequestrato è ricco di spunti e, come spesso accade, da un’indagine possono nascerne altre.
Una rete nascosta nel web profondo è quella difficile da scovare e se è vero che il jihadista italiano fa più notizia è anche vero che la memoria è corta. All’inizio dello scorso mese di luglio i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Milano arrestarono Nicola Ferrara, 38 anni, originario di Canosa di Puglia (Bari) e residente nel capoluogo lombardo, accusato di istigazione a delinquere aggravata dall’uso del mezzo telematico, in sostanza un radicalizzatore alla ricerca di giovani da arruolare al jihadismo.
Usando Facebook e la piattaforma Sound Cloud, sulla quale aveva caricato una playlist con un’ottantina di preghiere, aveva cominciato l’attività nel novembre 2015 ed era sotto controllo da un paio d’anni. Il jihad ha “arruolato” la pandemia, spiegano gli investigatori, e Ferrara nelle intercettazioni definiva il Covid “una cosa di Allah, una cosa positiva” perché “la gente sta impazzendo”.
Basta fare un salto al 2019 per ricordare il palermitano Giuseppe Frittitta, oggi 26enne, spinto alla radicalizzazione dal marocchino Ossama Gafhir arrestato con lui, pronti ad azioni eclatanti dopo essersi abbeverati all’infinito materiale disponibile sul web. Frittitta si era sposato con una marocchina e sua madre, disperata, si sfogò con un’amica raccontandole di aver pregato il figlio di lasciarle l’educazione di un’eventuale neonata.
La risposta fu: “Così poi devo tagliarle la testa se diventa come le vostre femmine”. Il capo del pool antiterrorismo della procura di Milano, Alberto Nobili, commentando l’arresto dello scorso luglio, disse che “quando gli italiani si radicalizzano paradossalmente diventano soggetti più pericolosi e feroci degli islamisti. In particolare le donne”. Ecco perché ogni arresto, come l’ultimo in Calabria, è importante. Ce ne sono sicuramente altri, li troveranno.