Il direttore dell’ufficio romano del think tank paneuropeo illustra come procederanno le relazioni transatlantiche con Joe Biden e con un’Europa che guarderà alla propria sovranità strategica
Agenda transatlantica: l’elezione del democratico Joe Biden alla Casa Bianca ridisegnerà i rapporti e le relazioni del fulcro delle relazioni occidentali, dopo quattro anni duri di America First? L’Europa – come entità geografica e politica – non sarà più un problema per la competizione nazionalistica in cui gli Stati Uniti erano stati piazzati da Donald Trump? Biden ha reso nota la propria volontà di rinsaldare i legami con gli alleati e di investire nel rafforzamento dell’ordine globale sotto la spinta transatlantica: questo comporterà un mutuo vantaggio per Usa e Ue, permettendo ai primi di mantenere le proprie priorità mentre l’Europa cerca di sviluppare la propria sovranità strategica? In un mondo sempre più multipolare, la presenza al fianco dell’America di un partner – l’Ue – in crescita di consapevolezza potrebbe essere un vantaggio reciproco.
“L’amministrazione Biden ci darà un po’ di tempo in più: con Donald Trump l’autonomia che l’Europa ha finalmente sentito la necessità di costruire ha subìto uno scossone brutale, un’accelerazione forzata dal fatto che il presidente americano sembrava voler distruggere il sistema internazionale e quindi l’Ue aveva provato a cercare i propri spazi in fretta. Ora con Biden ci sarà un richiamo al multilateralismo, dunque maggiore cura delle relazioni con gli alleati (e l’alleanza transatlantica è in cima all’agenda a quanto pare), perché il presidente eletto sembra comprendere che sui grandi tanti temi, come Cina e Russia o cambiamento climatico, ha bisogno di alleati per evitare un confronto frontale e per evitare isolamenti. Poi certo, è abbastanza prevedibile che gli Stati Uniti non smettano di chiedere ciò che chiedono da molto tempo, ossia maggiore contribuzione da parte dell’Europa su mantenimento e gestione dell’alleanza”.
Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio di Roma del think tank paneuropeo Ecfr analizza con Formiche.net il quadro ampio del futuro delle relazioni transatlantiche. L’European Council on Foreign Relations ha pubblicato in questi giorni un policy brief che ha come obiettivo trasformare e non solo rivedere le relazioni transatlantiche. Frutto di un brain storming tra i direttori dei vari uffici del think tank e tra i senior policy fellow e responsabili dei vari programmi specifici, il lavoro – destinato ad arrivare sui tavoli di Bruxelles (e Washington) – è articolato in dieci punti che affrontano altrettanti temi: salute, commercio, sicurezza, cambiamento climatico, democrazia e diritti umani, Cina, Russia e vicinato orientale, area Mena, Africa, e infine sovranità strategica (uno dei temi da sempre pallino dell’istituto).
Nella sua prima intervista al New York Times, Joe Biden ha detto: “Non voglio pregiudicare le mie opzioni. […] Penso che la miglior strategia con la Cina sia mettere d’accordo tutti i nostri alleati o quelli che erano i nostri alleati. Sarà una delle mie priorità nelle prime settimane della mia presidenza”. Priorità agli alleati sul fronte (unico) con(tro) la Cina? “Credo che la Cina sia uno dei grandi temi che riguarda le relazioni transatlantiche perché tocca molti ambiti, dalla geopolitica al commercio internazionale e digitalizzazione”, risponde Varvelli. “Europa e Usa in qualche maniera dovrebbero competere con l’iniziativa Belt & Road per esempio, e creare altri meccanismi simili in materia di commercio. È una partita molto importante, dove rientrano questioni che riguardano il commercio internazionale, su cui è fondamentale arrivare a un accordo con gli Stati Uniti per costruire una relazione sana e fondare su questo le dinamiche comuni per contenere le iniziative cinesi”.
Biden ha fatto capire che poco cambierà nel confronto al Partito/Stato, che resterà considerato come rivale competitivo. Questo sottintende anche le relazioni con la Russia per certi versi, è così? “Nel nostro policy brief c’è un passaggio molto interessante riguardo alla Russia e al vicinato orientale: si propone la creazione di un meccanismo di sicurezza nel partenariato orientale che dovrà per forza essere fatto insieme con gli Stati Uniti. Un meccanismo europeo che coinvolga anche Washington per dare assistenza ai partner orientali dell’Europa”, continua il direttore dell’Ecfr romano.
“Tutto ciò ha però un presupposto – aggiunge – ossia un downgrade delle tensioni con Mosca, perché il ruolo euro-americano nel vicinato orientale non può essere percepito come un atto ostile. Però a mio modo di vedere la Russia è la principale incognita dell’amministrazione Biden. È la partita con più punti irrogativi: mentre abbiamo chiaro cosa Biden vorrà fare con la Cina, abbiamo meno tracciato cosa farà con la Russia. Va bene la severità, ma se la partita globale riguarda il contenimento cinese, non è possibile far scarrellare Mosca verso Pechino. Forse serve un’operazione ampia per riagganciarla verso l’ambito transatlantico, sebbene abbiamo già visto come il tentativo di reset di Barack Obama non sia andato a buon fine”.
La Russia è un tema anche in altre due aree strategiche: l’area Middle East and North Africa e il resto dell’Africa. “Lì abbiamo certamente bisogno di Stati Uniti diplomaticamente e politicamente più presenti, soprattutto in grado di (o meglio interessati a) frenare i partner che si muovono in modo troppo aggressivo e avventuristico”, spiega Varvelli, che è anche tra i maggiori esperti internazionali della crisi libica, teatro dove l’assenza americana s’è fatta sentire. Ha in parte pregiudicato l’iniziativa europea (che ha mancato di sovranità strategica) e lasciato spazio alla penetrazione della Russia e all’avventurismo di Emirati e Turchia. “In Africa soprattutto – aggiunge il direttore – serve cooperazione Usa-Ue con i Paesi locali, perché è soltanto davanti a questa offerta congiunta che si può, con tutte le evidenti difficoltà del caso, limare l’influenza che la Cina sta costruendo con ritmi molto spinti”.