Un intervento sul Corriere della Sera dei commissari Ue Breton e Vestager conferma la terza via fra Cina e Usa sul digitale e la lotta alle big tech americane a suon di fisco e sanzioni. Difficile trovare la quadra con Joe Biden. Ma a Washington DC si discute (da tempo) di un’altra soluzione…
“Sta a noi europei stabilire i nostri termini e condizioni”. Suona così “l’autonomia strategica” dell’Ue nel mondo digitale presentata dai commissari al Digitale e al Mercato interno Margrethe Vestager e Thierry Breton. Sul Corriere della Sera i due ufficiali della Commissione Ue a capo della transizione digitale tracciano la road-map per la “terza via” europea fra Cina e Stati Uniti.
“Il messaggio che ci arriva da cittadini e aziende è chiaro: gli interessi commerciali o politici di una manciata di società non possono dettare il nostro futuro”. Due appuntamenti sono evidenziati dai commissari europei. Il 15 dicembre saranno presentati il Digital Services Act (Dsa) e il Digital Markets Act (Dma).
Il primo per fissare “nuovi obblighi e responsabilità per gli intermediari digitali, e soprattutto per le piattaforme online, riguardo ai contenuti che essi ospitano”. Il secondo per assicurarsi che i “gatekeeper digitali” rispettino “una serie di obblighi ben definiti che mirano a evitare comportamenti sleali”.
Gli interventi si inseriscono nella più ampia e ormai datata contesa europea alle big tech della Silicon Valley, da Google ad Amazon, da Facebook a Microsoft. Il nuovo pacchetto di regole sul mercato digitale promette un’inversione a U nei rapporti con i colossi americani. Che saranno chiamati a rispondere a prescrizioni molto più severe sulla concorrenza, dalla rivelazione degli algoritmi alla trasparenza del mercato pubblicitario fino alla condivisione dei dati raccolti in rete.
Si tratta di uno dei dossier più caldi della nuova fase nei rapporti transatlantici che si apre con l’approdo di Joe Biden alla Casa Bianca. Nuova solo in parte, se è vero che dietro alla promessa di un approccio vocato al multilateralismo la nuova amministrazione si muoverà in sostanziale continuità nella difesa della Silicon Valley, un mondo con cui la vicepresidente-eletta Kamala Harris ha un’ottima familiarità.
Tra i tanti nodi in sospeso accennati da Breton e Vestager, il più intricato resta la “web tax”, la riforma fiscale che cambierà le regole del gioco sui prelievi alle big tech. La Francia, con una mossa che promette maretta nei rapporti fra Parigi e Washington DC, ha già preso l’iniziativa: entro il 2020 Palazzo Bercy vuole chiedere ai giganti digitali, europei e non, il versamento di imposte plurimilionarie.
L’Ue nicchia e spera di trovare un compromesso in sede di negoziazione Ocse. Se non dovesse arrivare, procederà con una sua proposta entro il primo semestre del 2021. Il governo italiano, strattonato da una recente visita del ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, non ha ancora sciolto le riserve.
Molto dipenderà dal fattore americano. Scambiare i giavellotti scagliati (per necessità) da Biden durante la campagna elettorale ai colossi del web, su tutti Amazon, per una acritica adesione al “sovranismo digitale” di Bruxelles sarebbe un errore. Buona parte degli osservatori internazionali nota che un endorsement del presidente democratico alla negoziazione Ocse è tutt’altro che scontato.
Non sarà forse un caso se, anche fra think tank storicamente vicini o non ostili al Partito democratico, si fa strada ultimamente una lettura diversa se non opposta della sfida digitale in corso. Quella, per citare un recente paper dell’Atlantic Council firmato da Ruben Gallego e Vicky Hartzler, di un “Digital Marshall Plan” fra Europa e Usa che faccia del Vecchio Continente il perno di un’alleanza geopolitica sul digitale e non un non meglio definito “terzo polo” fra Washington DC e Pechino.
In un intervento sull’ultimo numero di Formiche, il ministro dell’Innovazione Paola Pisano commenta il nuovo pacchetto di regole Ue si dice convinta che “questo passo in avanti verso l’integrazione europea non possa in alcun modo essere inteso come un’uscita dai perimetri tradizionali delle alleanze dei nostri Paesi” e che sarebbe “velleitario” sottovalutare la dimensione geopolitica della partita. Le prossime settimane diranno se a Bruxelles, dietro la cortina delle buone intenzioni e il linguaggio un po’ politically correct, c’è la stessa consapevolezza.