Il generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa, fa il punto sul fatidico “fronte sud” per l’Alleanza Atlantica. L’Italia preme perché sia data la giusta attenzione a un fianco in ebollizione, ma le difficoltà sono evidenti. Ecco cosa dice il rapporto Nato2030 e le prospettive per il futuro
La politica Nato è accessibile al pubblico nei comunicati dei summit dei capi di Stato e di governo dell’Alleanza, e in maggior dettaglio nei concetti operativi che vedono la luce mediamente ogni dieci anni. L’ultimo è di fine novembre 2010. Se volessimo trovare traccia del pensiero ufficiale verso il così detto “fianco Sud”, dovremmo fare riferimento a questi documenti. Tuttavia, essendo tuttora gli Stati Uniti i principali azionisti, l’atteggiamento del presidente è da tenere in gran conto.
Cominciamo dal vertice di Chicago del 2012, due anni dopo Lisbona, dove lo stesso Barack Obama era stato il principale ispiratore dell’ampliamento del ruolo politico dell’Alleanza. Poche le decisioni di rilievo, ma la presenza di ben 60 capi di Stato e di governo ha innalzato il prestigio di un presidente in imminente campagna elettorale. Non una parola sul fianco Sud. Sempre a questi fini, nessuna menzione neppure ai summit di Newport nel 2014, di Varsavia nel 2016 e di Buxelles nel 2017 e 2018. Solo sporadici gli accenni al Mediterraneo. Più vivace (per la posizione francese e la nuova assertività russa e cinese) il vertice di Londra del dicembre 2019, che aveva “sofferto” la poco condiscendente presenza di Donald Trump e dove si era deciso che era ormai tempo di cominciare a scrivere il nuovo concetto. Il settimo in settant’anni. Anche qui, in ogni caso, nessuna novità specifica per la questione del fronte Sud.
Eppure, a suo tempo per il Sud qualcosa la Nato aveva fatto. Nel 1995 veniva istituito il Dialogo mediterraneo, con Egitto, Israele, Mauritania, Marocco, Tunisia, Giordania e infine, nel 2000, anche con l’Algeria. Nel Mediterraneo è presente la flotta Nato della missione Sea Guardian (con una nave e 285 militari italiani), subentrate alle precedente Active Endeavur. Recentemente è stata attivata la Support Framework (un’iniziativa di supporto), richiesta esplicitamente da Algeria, Tunisia, Marocco, Mauritania, Emirati e Qatar, dove opera anche un piccolo nucleo di militari italiani. Il Comando Nato per il Sud (l’ex quartier generale di Afsouth) nel frattempo, è stato rinnovato, ridislocato e potenziato.
Ora, come ha disposto il segretario generale, c’è da riscrivere, o adeguare, o solamente ritoccare il Concetto in vigore, approvato nel 2010 a Lisbona e scritto sotto l’influenza dell’Obama-pensiero. In 8 capitoli e 38 paragrafi tratta tutto lo scibile politico-militare, dai compiti e principi fino allo scenario in termini di sicurezza, dai concetti di deterrenza e difesa fino alla gestione delle crisi, dalla cooperazione alle partnership, dal “nucleare” alla non proliferazione, fino a chiudere con la riaffermazione dei principi universali già recepiti dalla carta dell’Onu. Ma di specifico per il fronte Sud non vi è desolatamente nulla di sostanzioso. Solo nell’aprile di quest’anno veniva dato a un gruppo indipendente l’incarico per una “riflessione” preliminare sul futuro prossimo della Nato. Per l’Italia ha partecipato la prof. Marta Dassù, direttore di Aspenia. Il lavoro, un saggio di una settantina di pagine dal titolo “Nato2030: United for a new era”, porta la data del 25 novembre 2020 ed è stato presentato nel corso della ministeriale Esteri del 3 dicembre.
Nel capitolo “Raccomandazioni”, prendendo in esame le minacce e le sfide emergenti, il rapporto salomonicamente dedica due pagine alla Russia, due alla Cina, due al terrorismo e, infine, due pagine al Sud. Le azioni proposte sono quattro. La prima: necessità di una più coerente e chiara posizione verso il Sud, tenendo conto di terrorismo, Russia e Cina; vanno assegnati compiti e responsabilità, come per i fianchi nord ed est. La seconda richiama la libertà di navigazione nel Mediterraneo, con rafforzamento dell’Hub for the South presso il Comando interforze di Napoli (Jfc). La terza, richiede per il Mediterraneo più coordinamento con l’Ue, l’Unione Africana, la Lega Araba, il consiglio dei Paesi del Golfo (Gcc) e l’Onu. La quarta riguarda l’istituzione di consultazioni a livello Nac (Consiglio Nato) con oggetto l’area Sud, nonché l’inclusione del Mediterraneo nei colloqui Nato-Russia.
Tutto condivisibile, ma “non è stato facile – ha confessato Marta Dassù a Formiche.net – spingere il Gruppo ad occuparsi in modo esteso del problema Sud”. In effetti, dopo Crimea e Ucraina l’attenzione è rimasta bloccata sul fianco nord-est, come ai vecchi tempi. Jens Stoltenberg è nordico, ed è evidente come il suo feeling sia più orientato verso i Paesi baltici e quelli dell’Est. Nel messaggio augurale a Joe Biden, ha infatti ricordato che “abbiamo di fronte una Russia più assertiva, il terrorismo, le minacce missilistiche e cibernetiche e lo spostamento del baricentro globale dovuto alla crescita della Cina”. Rimbalzano, in questo messaggio, le parole più utilizzate da Biden e dal suo gabinetto obamiano: Russia, Cina e terrorismo. Il fianco Sud resta, ancora una volta, un fastidioso innominato.
Inserirlo a chiare lettere nel nuovo Concetto? Sarà dura. Alternativa non auspicabile è che il problema sia recepito, ma “pilatescamente” delegato ai Paesi rivieraschi. Che si chiamano Turchia, Grecia, Italia, Francia e Spagna. Una sorta di Nato del Sud, un vespaio. Meglio lasciare le cose come stanno e attendere tempi migliori.