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Che succede se Pechino sfrutta la crisi economica in Turchia

Dopo il Pireo il mar di Marmara: per la Cina lo stato comatoso dell’economia turca è un’opportunità d’oro per garantire che Ankara diventi una parte vitale dell’iniziativa Belt and Road initiative (Bri)

Come potrebbero mutare gli equilibri e le influenze nel quadrante euromediterraneo se Pechino sfruttasse “in chiave Via della Seta” la crisi economica in Turchia? Dopo il Pireo, la Cina fa rotta (in silenzio) sul terzo terminal container più grande della Turchia e un hub strategico per l’Europa. Così, le intelligence mediterranee sono in allarme per i risvolti geopolitici, vista l’ultrainvasività cinese anche nei Balcani e in Italia.

TURCHIA

La Cina è salita al 51% della Kumport Terminal per circa 940 milioni di dollari tramite China Merchants, Cosco Pacific e lo specialista in investimenti infrastrutturali CIC Capital. La struttura si trova sulla costa nord-occidentale del Mar di Marmara ed è il terzo terminal container più grande della Turchia, oltre ad essere un hub strategico per l’Europa. Per Pechino lo stato comatoso dell’economia turca si è rivelato un’opportunità unica, per garantire che la Turchia diventi una parte vitale dell’iniziativa Belt and Road initiative (Bri). Con l’interessamento di oltre 100 tra Paesi e organizzazioni internazionali, il progetto cinese come è noto mira a facilitare gli investimenti e stimolare la crescita economica costruendo reti di infrastrutture sull’asse Asia-Europa. Ma non c’è solo il commercio a recitare un ruolo, bensì la geopolitica.

SOCCORSO CINESE

Il debito societario a lungo termine in Turchia ammonta a oltre 300 miliardi di dollari, con alcuni problemi di solvibilità che hanno già interessato i progetti finanziati dalla Cina. Primo fra tutti il ponte Sultan Yavuz, uno dei più alti al mondo, finanziato dalla Cina con 2,7 miliardi di dollari. Nel momento in cui il player non è stato in grado di completare il progetto, il ponte è stato venduto a investitori cinesi per circa 700 milioni.

Altro esempio riguarda la più grande piattaforma di e-commerce della Turchia, Trendyol, con 2 milioni di acquirenti attivi e 25 milioni di membri. È stata acquistata per 750 milioni da Alibaba.

In sostanza la Cina piomba in soccorso dei conti in rosso turchi e della relativa crisi valutaria, tramite una serie di investimenti mirati che, se da un lato portano utili a Pechino, dall’altro aprono nuovi scenari relativi alla ultra invasività del Dragone nel Mediterraneo. Infatti la Turchia, oltre al cash cinese, riceve da Pechino anche un assist alla voce cooperazione con Paesi dove la Cina interviene anche nelle dinamiche interne dei singoli stati debitori, come il Tagikistan o altri in cui Pechino punta a incrinare i rapporti diplomatici con Taiwan.

FERROVIE TURCHIA-CINA

La frontiera più significativa del link esistente tra Turchia e Cina è la Bri: è stata appena terminata la tratta ferroviaria da Kars nella Turchia orientale via Tbilisi, in Georgia, a Baku, in Azerbaigian fino al Mar Caspio. L’idea di Erdogan è quella di accreditare la Turchia come nuovo e strategico corridoio di trasporto per le merci cinesi (ma anche turche), sviluppando infrastrutture e attirando fondi ad hoc. Il nuovo treno “Iron Silk Road” è partito dalla Turchia la scorsa settimana. Il treno, di una lunghezza totale di 754 metri, trasportava biancheria e frigoriferi prodotti in Turchia e giungerà in Cina in 12 giorni (anziché i vecchi 30), percorrendo 5.401 miglia tra Baku, Tbilisi, Kars fino a Xi’an, attraversando durante il suo viaggio Georgia, Azerbaigian, Mar Caspio e Kazakistan.

LA QUESTIONE ENERGIA

Il treno segue altri ingenti investimenti cinesi in Turchia, come la centrale elettrica Hunutlu nella provincia meridionale di Adana, per un importo totale di 1,7 miliardi di dollari effettuato principalmente dalla Shanghai Electric Power Company. Si tratta del maggiore progetto della Cina con investimenti diretti in Turchia ed è ovviamente connesso alla Bri. Avrà una capacità di 1.320 megawatt e genererà 9 miliardi di chilowattora ogni anno a pieno regime, rappresentando circa il 3% del fabBisogno elettrico turco. Un’azione simile è stata avviata in Giordania nel deserto del sud-est. Lì più di 2.000 dipendenti cinesi stanno costruendo la centrale elettrica di Attarat Oil Shale. Si prevede che diventerà la più grande della Giordania soddisfacendo circa il 15% del fabbisogno energetico del Paese.

Appare di tutta evidenza come la strategia cinese di espansione logistica in due quadranti strategici come quello mediterraneo e mediorientale, che non sembra essere stata rallentata neanche dall’emergenza legata al Covid, vada letta anche alla luce dei mutati equilibri tra Occidente, Russia, Turchia e Iran. Il ruolo cinese di foraggiatore di strutture, anche se apparentemente silente, è centrale nella dinamiche che si estendono oltre il Caucaso, con un impatto preciso sugli scenari nel Mare Nostrum.

twitter@FDepalo

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