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Vi racconto la guerra a porte chiuse nel Tigray. Parla Mario Giro

“L’Europa è in forte ritardo sull’Africa perché da 20 anni la guarda solo dal punto di vista dei flussi migratori. Ossessionata dalle migrazioni, non è sufficientemente lucida per analizzarne i cambiamenti”. Conversazione con l’ex sottosegretario ed ex viceministro Mario Giro sulla crisi nella regione del Tigray nel nord dell’Etiopia

Una guerra a porte chiuse quella che si sta consumando in Etiopia, dice a Formiche.net l’ex sottosegretario agli Esteri nonché viceministro Mario Giro, di cui è da poco uscito il libro “Guerre nere – guida ai conflitti nell’Africa contemporanea” (Guerini e Associati). Da queste pagine Giro prende spunto per contestualizzare i ritardi europei in Africa e rapportarli al caso del conflitto nel Tigray, anche con un monito all’Italia.

Nel suo ultimo libro, “Guerre nere”, osserva che i conflitti africani non sono incomprensibili e barbari ma moderni e legati alle condizioni socio-economiche. L’Europa lo ha compreso in ritardo?

Sì, l’Europa è in forte ritardo sull’Africa perché da 20 anni la guarda solo dal punto di vista dei flussi migratori. È ossessionata dalle migrazioni e quindi non è sufficientemente lucida per analizzarne i cambiamenti accanto alle guerra che lì si combattono. Per cui c’è anche una difficoltà di interfacciarsi: l’Africa parla una lingua e noi un’altra.

Nel Tigray intanto è arrivato il primo convoglio di aiuti umanitari, organizzato dal governo di Addis Abeba e dalla Croce Rossa etiopica. Anche quella guerra è lontana dalla nostra comprensione?

Anche lì vi sono fenomeni migratori, ma credo che il conflitto sia tutto interno. Vi sono due aspetti a mio parere da sottolineare. In quel Paese, storicamente, la competizione fra centro e periferia è sempre stata forte. In secondo luogo è forte anche la competizione fra tigrini e il resto del mondo. Per cui fa impressione il fatto che non vi sia stato alcun tentativo di dialogo politico fra le due parti. Mi pare che non si sia voluto neanche tentarlo in questa fase. Purtroppo quando vigeva il sistema accentratore non ha funzionato, né dopo ha funzionato quello federale. Quindi a questo punto occorre parlarsi e chiarirsi.

Gli Usa denunciano: “L’Eritrea si unisce alla guerra di Abiy Ahmed nel Tigray”. Che ne pensa?

Se fosse vero sarebbe davvero un grosso guaio e dovremmo prepararci al peggio perché l’odio ideologico tra Eritrei e tigrini è fortissimo.

Cosa rischiano i 90mila rifugiati, fuggiti dal regime di Asmara?

Rischiano di essere le vittime sacrificali di questa situazione, perché Asmara pur avendo fatto la pace con Addis non ha mutato il proprio regime interno. Se i 90mila dovessero essere costretti a rientrare in Eritrea bisognerebbe chiedere ad Asmara di non rifarsi su di loro.

Nessun giornalista indipendente ha accesso alla regione dall’inizio del conflitto. C’è il rischio di una guerra che non verrà raccontata?

Non ne sono sicuro, ho letto di alcune troupes della Bbc in zona. Ma di fatto dal 4 novembre non stiamo avendo alcuna immagine di questa che possiamo considerare una guerra a porte chiuse.

Quale la possibile soluzione al conflitto? L’Italia potrà avere un ruolo?

L’Italia deve provarci, semplicemente perché conosce bene quella zona e quei Paesi, inoltre ha un buon rapporto con gli eritrei, il che non guasta. Ma prevedo che sarà molto difficile in questa fase, bisognerà prima ritrovare i fili. Tutto è cominciato quando Abiy ha deciso di rinviare le elezioni di agosto: i tigrini allora hanno proposto un governo di transizione, ma la Federal House, unica istituzione federale etiopica con il diritto di interpretare la costituzione, ha stabilito che il governo potesse essere prorogato. I tigrini si sono ancora opposti. È come se le due parti si fossero già preparate alle guerra prima di immaginare una discussione politica. Per cui è a quel livello che va riannodato il dialogo.

Vede possibili riflessi, diretti o indiretti, nell’area mediterranea?

Credo che non ci saranno riflessi diretti nell’area mediterranea, ma indirettamente sì attraverso il Mar Rosso, su cui insistono vari Paesi. Mentre una volta era un mare che ci interessava solo per il Canale di Suez, adesso dopo l’ingresso dei russi si assiste ad una sorta di domino complicatissimo, che alla fine arriva fino al Mediterraneo orientale. Non dimentichiamoci dei turchi, che ora stanno cercando un ruolo su più fronti. Quindi l’impatto è mediato e non diretto.

twitter@FDepalo

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