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Perché il Recovery Fund è affare di Mario Draghi. Parla La Malfa

Intervista all’economista ed ex ministro del Bilancio: non capisco come si possa temere Draghi, una personalità preparata, autorevole e che piace alla gente, cosa aspettiamo ad affidargli la gestione delle risorse europee? Non servono cabine di regie, serve un ente ad hoc perché la nostra Pa fa acqua da tutte le parti. Il modello? Quello della Cassa del Mezzogiorno e del New Deal di Roosevelt

Mario Draghi über alles. Ancora una volta torna la suggestione di un Mr. Whatever it takes con un piede a palazzo. Premier o grand commis del Recovery Fund, poco importa. Forse il segreto è in quel documento (qui il testo), Reviving and Restructuring the Corporate Sector post-Covid, redatto dal famoso gruppo dei Trenta, meglio conosciuto come G30, recante proprio la firma in calce di Draghi, oltre a quella di Raghuram Rajan, economista all’Università di Chicago ed ex governatore della Banca centrale indiana. Dieci proposte per una nuova economia a prova di pandemia rese note proprio in questi giorni, che hanno nuovamente rimesso l’ex presidente della Bce al centro della scena, dopo la comparsa agostana al Meeting di Rimini.

Se poi ci si mettono anche i sondaggi, secondo i quali più della metà degli italiani vorrebbe affidare i 200 e passa miliardi del Recovery Fund a Draghi, allora è lecito chiedersi se l’ex alunno del Massimo possa diventare una specie di Uomo della Provvidenza. Formiche.net ha sentito Giorgio La Malfa, economista, ex parlamentare e più volte ministro (al Bilancio negli anni Ottanta e alle Politiche comunitarie nel 2005) e animatore della Fondazione dedicata al padre Ugo.

La Malfa, Mario Draghi è tornato. Un documento che è un po’ un’agenda di governo. E un’opinione pubblica trasversale che vorrebbe affidargli i comandi del Recovery Plan. Le piace?

Altroché. Se potessi rivendicare i diritti d’autore su Mario Draghi gestore dei fondi europei lo farei. Perché sono mesi che sostengo la necessità di creare un ente ad hoc, svincolato dalla politica, cui affidare la gestione e l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund. Mi viene in mente una nuova Cassa per il Mezzogiorno, o meglio per l’Italia, guidata da una personalità autorevole, che abbia un prestigio internazionale e che sia l’interlocutore stabile dell’Europa per la durata del Recovery Fund. E la persona in questione è Mario Draghi.

Perché proprio lui?

Perché è autorevole, preparato e gode di grande consenso e prestigio internazionale. E in più, mi consenta, in parlamento avrebbe un consenso quasi plebiscitario.

Spesso il nome di Draghi è tanto apprezzato quanto temuto da certa politica di Palazzo. Come se Draghi fosse un qualcosa di profondamente scomodo. Lei non ha questa impressione?

Stiamo parlando di una persona che ha indubbi meriti professionali, ottenuti in anni di lavoro. Una persona che va assolutamente impiegata, in un momento come questo. Voglio dire, se non si utilizzano le migliori energie adesso, quando lo si fa? Draghi è questa energia, positiva e forte e va sfruttata. Perché la vera domanda è come evitare di disperdere l’enorme capitale del Recovery Fund. Il premier ce lo abbiamo già, ma la testa del Recovery Fund manca. E allora perché non chiamare gli uomini migliori? Il rischio di sposare la mediocrità e non utilizzare le migliori energie, è vanificare l’impatto di 200 miliardi.

Lei crede davvero che l’Italia corra il rischio di buttare a mare una quantità di fondi che forse non vedrà mai più?

Assolutamente. Se l’Europa non è convinta dalla nostra bontà dei nostri progetti, noi nemmeno li vedremo quei soldi. Ecco perché serve qualcuno che predisponga progetti credibili e meritevoli e poi sabbia gestire la liquidità.

Lei ha tirato in ballo, a modello di una governance degna di questo nome per il Recovery Fund, la vecchia Cassa del Mezzogiorno, risalente a De Gasperi. Mi dice perché?

Perché quello che dobbiamo a tutti i costi evitare è affossare il Recovery Fund in comitati e cabine, che farebbero saltare tutto due giorni. Serve affidarsi a un ente esterno, terzo. E a un personaggio autorevole, che abbia prestigio internazionale e che interloquisca stabilmente con l’Europa fin quando dura il Recovery Fund. Però a dirla tutta io ho due modelli in mente, non solo quello della Cassa per il Mezzogiorno, concepita allora per finanziare gli investimenti al Sud.

Quale sarebbe?

Il Tennessee Valley authority del New Deal americano di Roosevelt, pensato per sostenere gli Stati più poveri ne bacino del fiume Tennessee: soldi federali per interventi mirati. Un modello simile alla Cassa per il Mezzogiorno. Vede, c’è un problema di fondo: non si possono affidare queste risorse all’attuale Pubblica amministrazione.

Cioè la nostra Pa non è all’altezza della sfida del Recovery Fund?

Esattamente, il punto è proprio questo. Quante stazioni appaltanti devono prendere parte a questa operazione? Mi pare che ce ne siano tante, troppe: Regioni, ministeri, comuni, enti. Ma lei si immagina 200 miliardi in mano a decine di stazioni appaltanti? Lo spreco, anzi il disastro è garantito. Lo persino Conte la nostra Pa non funziona, lo dice quasi tutti i giorni. E a questa Pa, che non funziona, noi vogliamo affidare l’ultima speranza che ha l’Italia? Questo è un problema politico. E non c’è cabina di regia che tenga.

La Malfa torniamo al punto di partenza…

Ovvio. Un ente terzo guidato da Draghi. Lei si immagina una cabina di regia che va da De Luca e gli dice dove e quanto deve spendere?

Mettiamo che Draghi non abbia voglia di cimentarsi col Recovery Fund…

Sarebbe grave. Ma almeno glielo vogliamo chiedere?

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