“Se il tema dell’efficienza riuscisse, non dico a scavalcare, ma a pareggiare l’imparzialità e il non condizionamento reciproco tra attività giudiziaria e politica, si otterrebbero criteri omogenei e magari si affronterebbe con minore carica polemica l’intera questione”. Commenta così l’ex sottosegretario all’interno Alfredo Mantovano la querelle innescata dalle dichiarazioni del ministro della giustizia Annamaria Cancellieri sulle lobby che impediscono le riforme nel Paese. E che ha fatto “offendere” gli avvocati, pronti a disertare l’incontro con il Guardasigilli.
Il ministro Cancellieri contro le lobby degli avvocati: sono un freno alle riforme?
In questa vicenda distinguerei la forma dalla sostanza, anche se in una tematica come questa spesso la forma è sostanza. Tenderei a non far coincidere delle frasi che possono essere state certamente non gradevoli a coloro i quali erano riferite, con alcune riforme in atto. Perché altrimenti il rischio è che dall’espressione colorita o dalla frase pronunciata sottovoce che però viene amplificata dal microfono vicino, poi si passi ad un’assenza di approfondimento che fa male a tutti.
Quindi nel merito quale la maggior criticità?
Nel sistema giustizia, all’interno di quelle materie che lo Stato non può delegare ad altri, le risorse da tempo sono scarse. Ciò impone di adoperare intelligenza e buon senso nel prendere atto che l’articolazione delle circoscrizioni giudiziarie italiane è stata disegnata in tempi remoti. Le pressioni territoriali esistono dappertutto, ma sarebbe utile razionalizzare le risorse anche con l’unificazione di più presidi evitando che dove vi siano i Carabinieri ci sia anche la Polizia di Stato. Ma una cosa del genere è anche tardi farla adesso, bisognava pensarci vent’anni fa.
Mancanza di coraggio o scarsa consapevolezza della materia?
Si può condividere o meno la soppressione del singolo tribunale, o ritenere che le esigenze di alcuni territori non possano venire adeguatamente considerate, ma vorrei che qualcuno riflettesse sull’affermazione di principio secondo cui il sistema così com’è genera sprechi e non dà efficienza. Sfido chiunque a dire che non bisognerebbe provvedere all’unificazione di tutte le sedi distaccate e alla soppressione tendenziale dei tribunali che non siano capoluoghi di provincia, con qualche ragionevole eccezione.
Ma la problematica è solo dovuta alla congiuntura economica o riguarda una deficienza strutturale?
Al di là del momento di crisi, una razionalizzazione è doverosa. In quanto non è possibile che vi siano regioni come Sicilia e Piemonte in cui i capoluoghi sono senza dubbio centri con grandi tradizioni ma con poche migliaia di abitanti. Ciò significa dare un servizio giustizia assolutamente inefficiente. Ci sono due esigenze parallele che si sommano: l’efficienza, garantita da un equilibrato accorpamento, e il rispetto dei costi. Ma al di là di questo c’è un altro problema: la clausola del “nimby”.
Troppo forti le pressioni locali?
Da questo punto di vista una soluzione drastica sarebbe stata accettata da tutti alla fine, e per soluzione drastica intendo un tribunale per capoluogo di provincia. Purtroppo nella fase precedente si è introdotta qualche deroga, su cui adesso si gioca la salvezza di altri tribunali. Ma tutto ciò non significa disprezzare il contributo che l’operatore del settore è chiamato a dare. Credo che se da parte del Consiglio nazionale forense o delle Camere penali arrivassero proposte in questa direzione, il loro contributo non potrebbe che essere positivo. Ma devo dire che il condizionamento territoriale esiste.
Come superare lo scontro ideologico per arrivare a realizzare in concreto quelle riforme che occorrono anche per non far perdere al Paese preziosi investimenti stranieri?
Il dibattito sulla giustizia italiana, da decenni, quindi prima ancora di Craxi e Berlusconi per intenderci, è stato sempre in prevalenza orientato sul rapporto tra iniziative giudiziarie e politiche. Purtroppo un peso infinitamente inferiore ha avuto il tema dell’efficienza: se questo riuscisse non dico a scavalcare ma a pareggiare l’imparzialità e il non condizionamento reciproco tra attività giudiziaria e politica, si otterrebbero criteri omogenei perché questa efficienza venga garantita. E magari si affronterebbe con minore carica polemica l’intera questione. Le assicuro che all’interno della stessa sezione di un ufficio giudiziario continua ad esserci chi lavora oltre ogni limite, chi quanto necessario e chi per nulla. Ed è una vergogna che ciò accada.
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