Papa Francesco ha dato un’indicazione interessante: serve anche un “no” fermo di tutti, cittadini e responsabili delle istituzioni, al “possesso dei beni, al successo o altre cose simili, sempre con l’’io’ al centro”. La riflessione di Rocco D’Ambrosio, presbitero della diocesi di Bari, ordinario di Filosofia Politica nella facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma
“È un invito – ha detto il Papa alla messa dell’Epifania – a mettere da parte stanchezza e lamentele, a uscire dalle strettoie di una visione angusta, a liberarsi dalla dittatura del proprio io, sempre incline a ripiegarsi su sé stesso e sulle proprie preoccupazioni”. Quando l’ho ascoltato, per deformazione professionale, mi sono immediatamente venuti in mente diversi politici. Ho superato la tentazione e mi sono riconcentrato sul discorso del Papa.
Quella che il Papa chiama dittatura dell’Io, gli psicologi la chiamerebbero autoreferenzialità. Il termine deriva dalla Teoria dei Sistemi, dove ha, in genere, un significato positivo: solo l’autoreferenza può permettere l’eteroreferenza. Tuttavia, l’accezione comune al termine, oggi, è prevalentemente negativa. Comunemente la si intende come un riferirsi a se stessi, quasi in tutto e per tutto, sempre e comunque, spesso a qualsiasi prezzo. Si tratta di un problema antropologico, più che politico. In effetti sono in tanti a subire la dittatura dell’Io. Ci sono genitori, educatori, insegnanti, politici, magistrati, dirigenti d’aziende o di pubbliche amministrazioni, sindacalisti, responsabili di comunità di credenti, di associazioni o di organismi nazionali o internazionali, leader di gruppi e comunità che, ad ogni piè sospinto, farebbero di tutto pur di parlare e far parlare di sé, apparire sui media, postare un messaggio sui social per contribuire alla mitizzazione della loro persona e del loro ruolo. La pandemia ce ne mostra solo alcuni e tra questi spiccano alcuni parlamentari, ministri, presidenti di regione e sindaci. Tutti loro, a seconda dei casi, sono “adolescenti incoscienti” (oggi ho deciso che salta tutto e non si capisce, o quasi, perché); o bambini capricciosi (una cosa non è buona perché non l’ho fatta o non ci sono io); o lupi travestiti da pecore (può cambiare tutto, purché porti a casa il mio bottino di potere e denaro); o nuovi “Garibaldi” (il Paese vuole me perché solo io posso salvarlo, nessun altro), o eminenze grigie (sempre dietro a qualcuno, ma mai secondi quando si spartisce); o nuovi atei devoti (piacciono a diversi pastori cattolici perché giurano di non togliere risorse e privilegi) e cosi via. Il campionario antropologico è ricchissimo, in Italia come all’estero.
L’autoreferenzialità si oppone alla responsabilità. Infatti, responsabilità è rispondere consapevolmente a qualcuno per qualcosa. L’autoreferenzialità, invece, così come oggi è spesso concepita, è il chiudersi a qualsiasi confronto con altri, per cui il soggetto finisce con il dipendere esclusivamente dalla propria struttura cognitiva, emotiva e valutativa. Si tratta di un atteggiamento criticabile sotto diversi punti di vista. Esso è, prima di tutto, una negazione della propria natura relazionale, cioè dell’aristotelico zôon politikòn (essere relazionale). Inoltre, rappresenta un ripiegamento su se stessi che, talvolta, può divenire contiguo a patologie, quali il narcisismo e il solipsismo. È un atteggiamento diffuso, riscontrabile in tutti gli strati sociali; tuttavia, come spiega Kets de Vries, essa sembra radicarsi particolarmente tra i leader in quanto le posizioni di potere stimolano eccessivi processi narcisistici. L’aggravante, in questo momento, è che siamo in una delle crisi mondiali più devastanti, dove è da folli e incoscienti far cadere un governo (ovviamente si può e si deve fare di tutto per migliorare la sua azione) e dove perdere tempo nel seguire l’ultimo tweet dell’adolescente incosciente, o del nuovo Garibaldi o Garibaldina, è semplicemente una perdita di tempo.
Ma oggi, in tema, Papa Francesco ha dato anche un’altra indicazione interessante: serve anche un No fermo di tutti, cittadini e responsabili delle istituzioni, al “possesso dei beni, al successo o altre cose simili, sempre con l’’io’ al centro”. Altrove ha spiegato che tutto ciò significa prendere le distanze da una politica, e relativa comunicazione, tutta tesa a “esasperare, esacerbare e polarizzare” (FT, 15).
Ringraziando il Cielo, il nostro Paese si regge, anche in piena pandemia, perché ci sono diversi responsabili di istituzioni che sono così lontani dal farsi soggiogare dal proprio io. Sono quelli – ha detto il Papa – che ogni giorno, in ogni passo della vita non fanno “vedere la tessera delle virtù che hanno”, ma parlano con il bene autentico che fanno.