Skip to main content

Trump? No, Obama ter. Unger spiega il vero rischio per Biden

L’errore più grande che può commettere Joe Biden è “una restaurazione”. David Unger, professore della John Hopkins e firma di lungo corso del New York Times, spiega perché, con un Paese lacerato, un “Obama ter” è un rischio troppo grande. Trump? McConnell non darà l’ok all’impeachment

Dieci giorni sul filo. Donald Trump potrebbe arrivare all’Inauguration Day del 20 gennaio spogliato del titolo di presidente degli Stati Uniti. Potrebbe, in teoria. In pratica, spiega David Unger, professore della John Hopkins e firma di lungo corso del New York Times, i tempi sono troppo stretti, per entrambe le procedure possibili, impeachment e 25esimo emendamento. Comunque vada, “Joe Biden ha ben altro a cui pensare”. Tra pandemia, crisi economica e milioni di americani convinti che lui non sia il vero presidente, saranno mesi di dura prova. “Una restaurazione è l’errore più grande che può commettere”.

Unger, si fa questo impeachment?

È una grande incognita. Credo che sempre più persone cercheranno di imboccare quella strada al Congresso, a meno che Trump non dia le sue dimissioni nei prossimi dieci giorni, molto improbabile. Il presidente ha ancora un enorme potere, nonostante tutto, e un notoriamente un carattere imprevedibile.

Più semplice la via del 25esimo emendamento?

È un errore pensare che sia la soluzione più semplice, è vero il contrario. Il Congresso deve dichiarare che il presidente non è più in grado di servire il Paese e deve farlo con i 2/3 dei voti alla Camera, una quota più alta di quella richiesta per l’impeachment. Il 25esimo emendamento fu concepito in origine per situazioni di malattia, come un infarto o l’impedimento dovuto a un intervento chirurgico. Qui, peraltro, manca una caratteristica dell’impeachment.

Ovvero?

L’interdizione dai pubblici uffici. In poche parole: addio Trump 2024. Anche se la procedura si concludesse con l’amministrazione Biden già avviata, Trump risulterebbe comunque incandidabile. C’è uno scoglio numerico, ovviamente. Senza l’appoggio di Mitch McConnell in Senato è impossibile trovare 17 repubblicani.

Un passo indietro del presidente è da escludere?

Il presidente ha ricevuto tutti i segnali possibili, dubito che li ascolterà. Sarebbe una mossa saggia. Anche Silvio Berlusconi, nel 2011, aveva ricevuto mesi di segnali da dentro e fuori il Paese sull’inadeguatezza del governo, dalla Bce al Fmi, e ha avuto il coraggio di dimettersi.

McConnell è disposto a dare l’ok all’impeachment?

Ne dubito. Lui e Pence si stanno muovendo con grande cautela, non vogliono provocare Trump. Sono i riferimenti dell’ala “costituzionalista” del Partito repubblicano e saranno decisivi per mantenere calme le acque fino all’Inauguration Day.

L’Elefantino è con loro?

Una parte. L’ala trumpiana, capeggiata da gente come Kevin McCarthy e Ted Cruz, ha ancora voce in capitolo. La maggioranza, specie dopo la debacle in Georgia, rimane convinta che è necessario, anzi urgente, trovare un futuro senza Trump. Ma hanno paura. McConnell fa da mediatore, con ogni probabilità ha chiamato lui Trump per convincerlo a richiamare i ribelli, come fece un drappello di Repubblicani con Nixon durante il Watergate.

Sta facendo un pensiero a una candidatura?

Presto per dirlo. Di certo ha confermato la sua centralità a Washington DC. Il suo discorso al Senato è stato memorabile e non a caso ha creato più di un malumore con i democratici, non vogliono dargli credito. Un grave errore. Bisogna riconoscere quando un leader politico fa la scelta giusta.

Come si muoverà il clan Trump?

In ordine sparso. Melania finora è rimasta in silenzio, dimostrando che non è e non può essere una figura politica. Ivanka e Jared si sono mossi, stanno cercando di costruire un ponte con gli altri Repubblicani. Con scarso successo.

Da dove deve partire Biden una volta entrato nello Studio Ovale?

Ha di fronte quattro grandi sfide. La lotta alla pandemia. Le divisioni e le violenze nel Paese: ci sono 75 milioni di americani che hanno votato Trump e, secondo i sondaggi, il 45% di loro è convinto che sia lui il presidente eletto. Non si può ignorare un dato del genere. Infine ridurre le disuguaglianze che hanno dato fiato alla rivolta popolare e riparare le relazioni internazionali.

L’errore da evitare?

Il più grave che può commettere è una restaurazione, dar vita a un terzo mandato Obama. Conosco bene Biden, è un uomo in gamba, dignitoso, sveglio, ha un buon istinto. Ma resta pur sempre una creatura del XX secolo, è stato per tre decenni in Senato. Il mondo è cambiato.


×

Iscriviti alla newsletter