Di nuovo fermo il petrolio in Libia. La milizia che controlla gli impianti annuncia lo stop delle esportazioni. L’ombra delle pressioni sul processo negoziale Onu
Le Guardie petrolifere libiche (Pfg) hanno annunciato la sospensione delle esportazioni di greggio dal bacino di Sirte a causa del ritardo nel pagamento degli stipendi. Formalmente si tratta di una mossa simil-sindacale, ma secondo alcune fonti locali potrebbe trattarsi di un modo per complicare i negoziati guidati dall’Onu a seguito del cessate il fuoco di ottobre.
Il processo di dialogo — come spiega su queste colonne l’esperto Daniele Ruvinetti — è arrivato a un punto importante, con i negoziatori di tutte le regioni libiche che hanno deciso insieme un metodo per decidere il meccanismo di assegnazione del potere governativo con un incarico ad interim che dovrà durare fino al 24 dicembre, giorno in cui sono state fissate le elezioni.
Gli impianti bloccati in effetti sono quelli che ricadono sotto il controllo di Khalifa Haftar, il capo miliziano che detiene parte del potere in Cirenaica e che si è costantemente opposto a ogni genere di stabilizzazione proposta dall’Onu, fino a lanciare ad aprile 2019 un disperato — e fallimentare — tentativo per prendere il controllo di Tripoli e rovesciare il governo onusiano installato col compito di pacificare il paese sei anni fa. Haftar, dopo la sconfitta militare, era recentemente tornato in campo a livello negoziale perché aveva stretto un accordo con cui concedeva la ripartenza dell’output petrolifero da impianti che aveva occupato.
È da circa dodici mesi che le Pfg ricevono pagamenti a singhiozzo, e anche questo fa supporre che la chiusura odierna dei pozzi di Essidra, Ras Lanuf, Zuitina&Hraiga sia legata a situazioni diverse rispetto alle circostanze. Quando lo scorso gennaio si svolgevano le riunioni della Conferenza di Berlino, incontro internazionale promosso per trovare una quadra negoziale, Haftar ordinò l’occupazione degli impianti e il blocco delle produzioni.
Lo stop al petrolio è una mossa deleteria, perché gran parte della spesa pubblica libica si lega alle esportazioni petrolifere — che nonostante lo sblocco di settembre le avesse riportate a un regime sopra al milione di barili al giorno, tuttora non hanno un meccanismo di redistribuzione dei proventi tra Est e Ovest.