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Vi racconto la storia della politica estera statunitense. Scrive Valori

Sebbene gli Usa siano tra i migliori in termini di forza nazionale, con la loro forza militare e il soft power, è inevitabile che siano incapaci di combattere multi-lateralmente allo stesso tempo e di trasformare una società, per essi arretrata, a migliaia di chilometri di distanza. In un luogo in cui i concetti statunitensi democrazia e libero mercato non sono né stati mai conosciuti e tantomeno accettati, voler stabilire un sistema a propria immagine e somiglianza significa piantare fiori in un campo da tennis in cemento. L’opinione di Giancarlo Elia Valori

Giorni fa in colloquio con uno degli ex protagonisti della politica estera statunitense, a mie domande e sollecitazioni egli ha replicato che la Seconda guerra Iraq-Usa è stata un disastro inutile, equilibrato in parte col miglioramento delle relazioni con Israele e particolari attenzioni alle petro-monarchie del Golfo. L’interlocutore ha ammesso di non aver gestito al meglio le relazioni con l’Egitto come gli Usa avrebbero potuto fare dopo le cosiddette primavere arabe, ed è discutibile che non abbiamo mai avuto un tipo di rapporto con l’Iran, sufficientemente discreto da essere sostenibile.

In realtà gli errori della Casa Bianca e la volontà di dominio senza tener conto delle altre parti è un apporto tradizionale alla politica estera statunitense. Già Michael Mandelbaum, professore alla John Hopkins University afferma come gli Usa abbiano perso nel mondo; un fallimento totale dalla fine della Guerra fredda. La storia della politica estera statunitense può essere approssimativamente suddivisa in quattro periodi.

1) Dalla presidenza di George Washington (1789-1797) alla guerra ispano-statunitense (1898), la politica estera degli Usa è ancora nella fase iniziale, e l’attenzione rimane sul territorio.

2) Dal 1898 alla fine dellla II Guerra Mondiale (1945), gli Usa iniziarono a muoversi a livello internazionale, svolgendo il ruolo di una grande potenza sul palcoscenico della Prima e della Seconda guerra mondiale.

3) Dal 1945 alla fine dell’Unione Sovietica (1991), gli Usa sono diventati uno dei due poli del mondo, il timoniere dell’ordine occidentale e controllori delle tendenze mondiali di scenario.

4) Dopo la vittoria nella Guerra fredda, si è avuto il quarto periodo. In questa fase, gli Usa si sono situati al culmine del potere internazionale, hanno ignorato i loro pari e i soggetti di diritto internazionale, comportandosi da apparente egemone mondiale; ma la loro politica estera in tal momento ha avuto raramente successo.

Il problema più grande della politica estera degli Usa durante la Guerra fredda era la sicurezza nazionale. Era necessario in ogni momento paventare il proteggersi dalla penetrazione e dall’influenza dell’Urss e sforzarsi di migliorare la sua forza militare per garantire la leadership planetaria. Ciò comportava una larga produzione bellica nonché immensi profitti per le industrie militari.

Dopo la Guerra fredda gli Usa hanno utilizzato molteplici mezzi come la politica estera, la politica economica e l’intervento armato a mo’ di deterrente (cfr. Guerra dei Balcani 1999) per costringere e attirare l’attenzione di Cina, Russia (competitori tradizionali) per poi intervenire in Afghanistan e Iraq.

Ad esempio, nelle elezioni presidenziali del 1992, Clinton ha proposto di collegare il trattamento della nazione più favorita alla Cina con la situazione dei diritti umani. Dopo essere stato eletto, ha successivamente aggiunto il Tibet, sperando di migliorare i diritti umani locali e promuovere il cambiamento della Cina (vista ottusamente come un’Urss-bis), mentre in realtà la destabilizzazione di quella regione, avrebbe provocato uno sconvolgimento mondiale di livello nucleare.

Il successo della Guerra fredda contro un Paese e un sistema di produzione che ormai si era ridotto al lumicino, per sostenere una difesa che fosse almeno deterrente ma mai superiore alla Casa Bianca, ha dato agli Usa l’illusione che i sistemi occidentali e il libero mercato siano superiori e universali e possano essere trapiantati in un estero dove qualsiasi idea/ideologia che non fosse conforme all’American Way of Life fosse barbarica, arretrata e incivile (welfare europeo, assistenza sanitaria, comunismo, socialismo, islam, culture tradizionali, religione cattolica, ecc.).

Gli Usa, nel proprio “destino manifesto” si sono fatti carico di missionari e hanno avuto bisogno di diffondere attivamente i semi della civiltà e promuovere la riforma delle società cosiddette “arretrate” e non alleate.
Essi hanno sopravvalutato la fattibilità di imitare in altri Paesi, come Afghanistan e Iraq, ciò che essi stessi avevano eretto attraverso bombe, atomiche e non, nella Germania hitleriana e nel Giappone imperiale, oggi modelli “occidentalistici” di liberismo.

Anche se cercano con successo e non (rivoluzioni colorate), attraverso l’intelligence, di rovesciare il dittatore di turno, sino a ieri amico, ai think tank della politica estera statunitense manca la conoscenza delle condizioni sociali persistenti in un determinato Paese, non comprendendo che i propri punti di vista sono insufficienti per imporre un moderno sistema in stile occidentale, come la struttura sociale e il concetto di Stato di diritto. Quando la situazione di saggezza politica non è matura, e trionfa l’ignoranza, è ovvio si vada incontro al fallimento e all’odio dei popoli.

Sebbene gli Usa siano tra i migliori in termini di forza nazionale, con la loro forza militare e il soft power, è inevitabile che siano incapaci di combattere multi-lateralmente allo stesso tempo e di trasformare una società, per essi arretrata, a migliaia di chilometri di distanza.

In un luogo in cui i concetti statunitensi democrazia e libero mercato non sono né stati mai conosciuti e tantomeno accettati, voler stabilire un sistema a propria immagine e somiglianza significa piantare fiori in un campo da tennis in cemento.

E mentre le missioni militari statunitensi hanno successo (non dimenticando, però, le amare sconfitte in Corea e Vietnam), al contempo in termini politici, esse hanno rivalutato la forza di Cina e Russia nell’ampliare la propria presenza in determinate zone geopolitiche.

Ad esempio la guerra in Siria fomentata per sabotare la “Via delle Seta” cinese, e danneggiare le forniture di petrolio russe all’Europa, ha rafforzato la presenza di Mosca nel Mediterraneo, e innalzato al cospetto dei popoli i tradizionali anticolonialismo e non ingerenza politica di Pechino, che sta guadagnando consensi dal Sudamerica all’Africa, dall’Europa all’Asia.

Non per nulla, lo stesso prof. Mandelbaum, afferma che gli Usa piuttosto che adottare mezzi violenti per favorire la costruzione di un sistema “occidentale” in un Paese lontano, è meglio adottino sistemi culturali, valori e ulteriori soft power per influenzare, fornire assistenza e creare condizioni per la trasformazione e attrarre in altri luoghi modelli occidentali per scopi economici, pratici, pacifici che mirino al benessere dei popoli, e non ad instaurare una dittatura “democratica” invisa alla gente comune.

Gli Usa, per l’illustre accademico, dovrebbero agire come custodi della pace internazionale e garantire l’ordine del mondo, finalmente anche entrando nei tribunali internazionali di giustizia, piuttosto che essere sovvertitori della struttura interna dei singoli Paesi che vogliono cambiare per i propri interessi relativi alle ultime risorse del pianeta.
Finché ci saranno vantaggi e non distruzioni per i popoli, essi non esiteranno a essere coinvolti nelle fasi di cambiamento. Il gioco della politica è quello del grande potere, che riacquista l’egemonia con il consenso e non attraverso l’imposizione di bombardieri, stragi di civili, e cartoline alla Hollywood.

Per cui la politica estera degli Usa per non andare incontro a successivi fiaschi deve passare a un’altra fase. Varare finalmente un quinto periodo, bensì pacifico.

Recentemente, il sito web statunitense di Foreign Policy ha pubblicato l’articolo The United States Needs a New Strategic Mindset (Gli Stati Uniti hanno bisogno di una nuova mentalità strategica). L’articolo critica gli Usa per aver formulato strategie basate solo su interessi a breve termine negli ultimi decenni, e di conseguenza ha commesso molti errori, tra cui la guerra antiterrorismo dopo l’11 settembre.

Secondo l’autore, poiché agli Stati Uniti per una generazione è mancata una visione strategica coerente e globale, essi hanno intrapreso innumerevoli azioni miopi, e dovuto affrontare molte sfide alla propria sicurezza nazionale e prosperità economica.

Il contributo ritiene che dalla fine della Guerra fredda, gli Usa abbiano pagato duramente per la strategia sbagliata. Dopo l’implosione dell’Urss, gli Usa hanno disperatamente sperperato enormi ricchezze e le vite di un gran numero di soldati, assumendo la paranoia quale risposta alla minaccia del terrorismo.

L’articolo afferma testualmente: “More recently, it has spent exorbitant sums on what it construes as “great-power competition,” but is really just the defense industrial complex’s same old graft with a different guise—all while its public institutions rot” (più recentemente, si sono spese somme esorbitanti per quella che è interpretata come “competizione tra grandi potenze”, ma in realtà è solo lo stesso vecchio innesto del complesso industriale della difesa con una veste diversa, il tutto mentre le sue istituzioni pubbliche marciscono).


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